
Il disgusto viene considerata un’emozione fondamentale, con funzioni adattive precise, come quella di allontanare da sé oggetti e presenze nocive, minacciose o letali.
A differenza di molte altre emozioni, l’oggetto di elezione del disgusto è qualcosa di inanimato, cioè di non umano.
Lo scopo del disgusto, che si avverte sempre attraverso sensazioni di nausea, ripugnanza o allarme, é quello di impedire il contatto o l’ingestione di elementi, di natura biologica, potenzialmente nocivi o nocicettivi.
Diverse sensazioni fisiche e fisiologiche concorrono alla formazione del disgusto, risultato dell’attivazione congiunta della maggior parte degli organi di senso: la vista, il tatto, l’olfatto e soprattutto il gusto.
Le esperienze sensoriali gustative, visive, olfattive e tattili che portano alla formazione del disgusto, posseggono dunque uno scopo di controllo sugli elementi biologici con cui si entra in contatto e che potrebbero essere ingeriti a causa dell’atavico istinto di saziare la fame.
Secondo lo psicologo americano Carroll Izard (1923-2017), il disgusto é associato con altre emozioni quali la rabbia e il disprezzo, con le quali concorre a formare la triade dell’aggressività.

Caratteristico del disgusto è il movimento fisico di distogliere lo sguardo, voltare il capo, scuotere le dita, sputare, in casi estremi di vomitare.
L’espressione facciale del disgusto si caratterizza per l’arricciamento delle narici, il rovesciamento delle labbra e l’allargamento della bocca e della gola, come a spingere fuori il contenuto: il disgusto é un’emozione ad attivazione immediata ed é sovente poco controllabile.
Il disgusto può avere talvolta anche come oggetto altri esseri umani o la disapprovazione di comportamenti spiacevoli, il che viene espresso sovente con il caratteristico sollevamento del labbro, ma ci deve essere sempre in campo una sensazione fisica di qualcosa di “stomachevole”.
La Disgust Scale (Haidt, McCauley, & Rozin, 1994) ci informa che il disgusto può insorgere per:
cibo
animali
prodotti o secrezioni del corpo
attività sessuali inappropriate o violente
violazioni del corpo
cattiva igiene
esposizione al contatto con cose, animali o persone morte o in decomposizione

Reazioni arcaiche connesse con il disgusto sono le convinzioni “magiche” dell’analogia (mi sa che ce l’ho anche io) e del contagio (stai lontano allora!), della iettatura (mi porterà sfiga!).
Il gioco infantile de “La Puzza” è un esercizio di esorcismo culturale dalle paura di ricevere o portare contagio e dalla conseguente risposta di emarginazione sociale.
Che cosa ci disgusta
Parti di animali sbranati o macellati, brandelli, visceri, cibi avariati o putrefatti e alcuni animali che evocano fobie o timori di contaminazione (topo, serpente, cavalletta, scarafaggio, verme) possono procurare disgusto, allontanamento e disapprovazione verso chi li manipola, espone o consuma.
Tuttavia, poiché ogni cultura indica quali cibi e sostanze sono consumabili e quali da respingere, come e quando assumerli, associando particolari valenze di gusto alla loro degustazione (sublime, eccellente, delicato, digeribile, schifoso, inaccettabile, immorale, ripugnante, stomachevole, etc.), appare evidente come le reazioni emotive di accettazione/disgusto siano mediate sia culturalmente, che affettivamente o simbolicamente.

Non é sempre necessario inoltre entrare in contatto con cibi o materiale biologico che provoca disgusto perché questo venga percepito: a volte é sufficiente il ricordo di certi alimenti o luoghi, oppure ascoltare certi racconti per provare avversione verso qualcosa (disgusto vicario).
Un’altra forma di disgusto, più vicina all’imbarazzo e di chiara origine sociale, normativa o igienica è l’evitamento dei soggetti considerati diversi da noi per credo, ideologia, origine sociale. Anche in tali casi al disgusto possono associarsi, paradossalemente, alcune sensazioni fisiche.
Perché si prova disgusto?
Gli psicologi americani Rozin e Fallon (1987) hanno definito 4 classi di reazioni di rifiuto al cibo:
avversione: si produce per parti di cibi che, pur considerati commestibili, generano ripugnanza, per ragioni quali insofferenza tattile o visiva, colore o sapore (per parti molli, budelle, lingua o teste di animali, per grossi crostacei, etc.);
pericolo: dovuto alla previsione di nocività di un determinato cibo o alimento;
esclusione: alimenti o materiali che nella propria cultura vengono esclusi e dichiarati non commestibili come carta, erba, cavallette, lumache, alghe, etc.;
credenza: il disgusto é indirizzato verso cose che vengono considerate sgradevoli nella propria cultura, anche senza averle mai assaggiate.

Al di là delle differenze culturali, tutti gli esseri umani provano universalmente disgusto per secrezioni come muco, feci e urine, tuttavia non sempre per le proprie.
Ma perché mai si prova così tanto disgusto per sostanze che non sono pericolose e che invece hanno una loro funzione nutritiva?
La risposta probabile sta nel fatto che esse sono cariche di valenze simboliche molto pregnanti.
In genere molti cibi o molti atti di nutrizione sono associati a credenze simboliche e magiche importanti: il latte che purifica, il vino che fa buon sangue, le ostriche che sono afrodisiache, il pane e il vino cristiano, ossia l’incorporazione di parti speciali dell’altro.
Ad altre sostanza é invece culturalmente collegato qualcosa di “sporco”.
Per le cose che diventano esterne a sé vale secondo lo psicologo Allport (1897-1967), la regola che le cose “interne” diventano disgustose solo quando vengono realmente percepite come ormai ego-aliene: il nostro sangue, la saliva, lo sperma, etc. vengono prima accettati e poi rifiutati, dipende da quanto tempo é passato dal contatto con le medesime sostante, ovvero quanto tempo é occorso dal concepire prima come ego-sintoniche (proprie) a ego-aliene (estranee a sé).
Una forte attrazione sessuale o affettiva parentale, possono tuttavia attenuare fortemente tali sensazioni, ciò spiega il fatto che non é possibile provare quasi mai disgusto per le secrezioni o gli odori emessi dai propri animali di compagnia o dai propri partner sessuali durante l’amplesso, oppure anche successivamente ad esso.
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