
E’ il sentimento per il quale sperimentiamo allo stesso tempo e per lo stesso “oggetto” due opposti e intensi sentimenti, come ad es. l’odio e l’amore, manifestando difficoltà a poterli tollerare, in quanto riconducibili alle differenti e opposte caratteristiche di personalità dell’altro, quelle positive e quelle negative.
ll termine ambivalenza venne introdotto per primo da Eugene Bleuler e successivamente ripreso da Sigmund Freud e Melanie Klein, quale concetto chiave della teoria psicoanalitica: amore e odio sperimentati dal bambino e rivolti simultaneamente verso il genitore che si prende cura, a seconda del livello di piacere raggiunto in caso di gratificazione o al contrario, di dispiacere (angoscia, rabbia), percepito in caso di frustrazione

L’ambivalenza sperimentata con le figure genitoriali, a causa della loro “imperfezione” diventa, secondo la psicoanalisi, il modello gestionale di riferimento, per quanto riguarda tutte le future esperienze: saper esprimere e tollerare l’ambivalenza degli altri significativi é segno di maturità e forza dell’Io.
Ma se il livello di insofferenza per la dualità e l’imperfezione altrui cresce, oppure è espresso in modalità non attese rispetto alle circostanze date (rabbia, furiosa aggressività o drammaticità per “futili motivi”), essa è da considerarsi insana e disfunzionale.
E’ al contrario segno di maturità riconoscere e accettare che si possano provare emozioni contrastanti verso lo stesso oggetto, persona e circostanza e che tali sentimenti non potranno mai scomparire del tutto, essendo basati sull’evidenza della dualità e della non perfettibilità del proprio e altrui modo di essere.
Conseguenze dell’ambivalenza mal tollerata e non mai integrata sono:

lo sperimentare difficoltà all'atto di prendere decisioni;
il senso di perdita che accompagna la scelta effettuata;
forti sentimenti di frustrazione, rabbia, confusione e colpa;
la tendenza a far scomparire, dei due opposti, l’elemento negativo;
l’impossibilità a sospendere il giudizio e la critica verso se stessi e gli altri.
Molte ricerche sottolineano come risulti difficile per i bambini piccoli tollerare l’ambivalenza.
Essi non sono in grado di ammettere e tollerare che le persone per loro significative non siano costanti ovvero che non siano mai completamente buone o cattive.
Conseguenza della difficoltà a integrare la dualità degli altri é dunque nel bambino l’oscillazione repentina da uno stato emotivo all’altro (rabbia/allegria, amore/risentimento), con modalità di tipo off/on.
A partire dalla tarda infanzia é possibile sviluppare una relativa capacità di integrare tutti gli aspetti duali della vita e degli altri, sostenendo gli opposti sentimenti che ciò genera all’interno di sé.
Un atteggiamento distaccato verso la propria e altrui imperfezione non é possibile (né per certi aspetti auspicabile, in quanto dovrebbe essere considerata manifestazione di indifferenza o “schermatura” dal mondo), proprio a causa del fatto che essa genera risonanze interne altrettanto duali e poco sopportabili.
La tolleranza dell’ambivalenza si manifesta come capacità di riconoscere gli altri come imperfetti, di accettarli per quello che sono, senza manifestare rancore per i loro errori e applicando sempre la sospensione del giudizio.
Tale atteggiamento di solito si riverbera positivamente su di sé, attraverso vissuti altrettanto virtuosi di comprensione, compassione e auto-accettazione.

Il sentimento dell’ambivalenza, ovvero il fatto di percepire sentimenti contrastanti verso lo stesso oggetto o persona trova una valida esemplificazione nei confronti di tutto ciò che è per noi oggetto di desiderio.
Elvira é una ragazza semplice, la sua mamma é una brava cuoca e sa come preparare degli invitanti manicaretti che sua figlia non manca mai di onorare una volta portati in tavola. Da tempo tuttavia Elvira si é invaghita di un giovanotto del paese, un sentimento che pur se ricambiato, preoccupa la ragazza che teme di non piacergli troppo fisicamente. Adesso Elvira teme di ingrassare e inizia a percepire un sentimento contrastante verso il cibo che sua madre le prepara. Da una parte ne è fortemente attratta, dall’altra lo teme e lo ritiene la causa di quegli etti di ciccia che si stanno fermando sulle sue gambe. La sua battaglia é molto ardua e sta causando incomprensioni anche con i suoi genitori che non capiscono perché non vuole mangiare più quello che le piace così tanto.

Anche Ivano si trova in una situazione simile, ma questa volta a differenza di Elvira non è molto conscio di quello che gli sta accadendo, mentre i suoi amici hanno capito tutto. Da tempo nella loro compagnia è arrivata Luigina, una cugina di uno di loro, é simpatica e carina e tutti vogliono stare con lei, tranne Ivano che se ne tiene alla larga e mentre gli amici parlano di lei positivamente, lui é l’unico che la critica.
Allo stesso tempo introduce sempre “l’argomento” autonomamente: “avete visto Luigina? Come mai non é ancora arrivata? Mah, sarà andata dal parrucchiere, dove vuoi che vada una cosi?”, e via dicendo con altre riflessioni di questo tenore.
Gli amici se la ridono perché hanno capito che ad Ivano sta succedendo qualcosa, che forse non vuole ammettere e che ritiene pericoloso.

Le correlazioni tra le emozioni
Diversamente dalla concezione psicoanalitica di ambivalenza, per le teorie psico-sociali non é importante focalizzare sulla compresenza degli opposti, quanto sulla correlazione inversa tra gli stati interni positivi e quelli negativi.
E’ stato infatti provato che è più facile, quando si prova una forte emozione positiva, che quella negativa corrispondente venga momentaneamente annullata o comunque posta sul sfondo, praticamente dimenticata (fenomeno della correlazione positiva).
E’ la ragione per la quale tendiamo comunque a mostrarci aperti e ad accogliere una persona che ci ha ferito, ma con la quale ci sentiamo ancora legati o per la quale sperimentiamo ancora un forte e intenso coinvolgimento, come se i due sentimenti, positivi e negativi fossero l’uno indipendente dall’altro.
Salvo il fatto che, dopo breve tempo, il sentimento negativo si ripresenterà e il dilemma dell’ambivalenza dovrà prima o poi essere risolto.
La frequenza e la costanza delle emozioni tende invece a correlare negativamente, ovvero se si sperimenta più spesso la tristezza nelle relazioni con gli altri significativi, si sarà sempre meno disposti a prendere in esame le parti altrui che ci rendono felici.
Come nell’esempio sopra descritto, l’intensità delle emozioni correla positivamente: quanto più siamo capaci di sperimentare gioia in modo profondo, altrettanto saremo sensibile e in grado di accettare livelli di tristezza profonda.
Irvin Katz e i suoi collaboratori (1988), hanno scoperto che spesso siamo ambivalenti verso le minoranze o gli oppressi, per i quali possiamo provare allo stesso tempo pietà e comprensione, opposte a odio o repulsione.
Per Katz, l’ambivalenza può portare all’estremizzazione delle risposte, in quanto frutto di una tensione interna che attende troppo tempo a risolversi in un unico atteggiamento. Sono per lui più minacciose le persone ambivalenti, che quelle con atteggiamenti chiaramente negativi. Conseguenza dell’ambivalenza è anche una evidente minore prevedibilità del proprio e altrui comportamento.

Punti di vista della sociologia
Per Andrew J. Weigert (1991), le persone sono tutte naturalmente ambivalenti, condizione che limita l’agire umano, pertanto è funzione primaria della cultura risolvere tale ambivalenza indicando, tramite norme di comportamento e valori quali sono le scelte socialmente apprezzabili in termini di emozioni, pensieri, azioni.
Alcune società come quelle tradizionali sono più efficaci nel risolvere l’ambivalenza perché indicano chiaramente e in modo univoco alle persone cosa pensare e che cosa provare.
In società più complesse e sfaccettate invece, come quelle moderne, vengono proposte più possibilità e più valori, quindi le soluzioni sono più deboli.
Jennifer Hochschild (1980), sottolineava come l’ambivalenza è la risultanza del contrasto tra ciò che proviamo e ciò che dovremmo provare, in base a quanto nelle diverse situazioni le norme sociali e i valori richiedono.
Inoltre spesso sono le persone a non accettare la propria ambivalenza perché la reputano socialmente non desiderabile, pertanto tendono a reprimere per poi esprimere solo in situazioni private.
Se una società o un gruppo non accetta il conflitto tra gli opposti, ciò può portare a tensione e malessere nei suoi membri presi singolarmente, specie se essi si sentono bloccati a livello dell’agire o perennemente incerti.
Weigert (1985), afferma che per vivere pienamente dobbiamo saper rispondere alle situazioni ambivalenti assorbendole in modo creativo, imparando a decidere e agire sulla base di tutte le nostre emozioni, anche di quelle più conflittuali o negative.
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