Di Nicola Sensale
“La creatività è risposta inattesa, è mistero, bellezza e unicità, è lo spirito sacro, il salto con l'asta oltre la realtà comune”
Creatività come processo dal noto al nuovoIl filosofo della scienza francese Henri Poincaré (1854-1912), definiva la creatività come la capacità di stabilire legami innovativi tra elementi preesistenti, quindi tra cose già note, costituendo nuove combinazioni, inimmaginabili prima e che sorprendono per utilità ed efficacia.
É Steve Jobs che osserva il funzionamento del walkman e lo trasforma nell’iPod, l’invenzione del secolo.
É Copernico che dubita che la terra sia fissa.
Per Poincaré, nel processo di creatività, si parte sempre da una condizione preesistente, ovvero una struttura già definita, una comune configurazione (“una cosa che c'è già”), oppure da un blocco, uno stallo (“una cosa che è sempre uguale, che non si riesce a cambiare”), per giungere infine a una conclusione inaspettata.
Dall’abituale all’originale dunque: un movimento creativo che partendo dal dato, crea il nuovo.
In questa definizione di creatività troviamo anche una sottolineatura relativa all’idea che ciò che è geniale è anche efficace: quindi un atto creativo è tale non solo se supera la comune immaginazione, ma anche quando il risultato della creazione serve bisogni ed esigenze umane, oppure è applicabile a contesti che hanno necessità di essere modificati.

Creatività come smarrimento emotivo
É una sorta di “smarrimento emotivo” quello che proviamo di fronte all’atto creativo, come il “wow” che esclamiamo mentre contempliamo un paesaggio dall’alto di un panorama o quando ci troviamo al cospetto di un quadro, un’opera d’arte in esposizione.
L’atto creativo, il nostro o quello dell’artista, ci conduce sempre verso qualcosa di nuovo, diverso e non immaginabile prima, accompagnandoci dunque in uno spazio di sorprendente smarrimento.
Nella psicologia dell’arte, questo stato è definito come emozione estetica e avviene quando l’opera ci sorprende, spiazza, oppure ci irrita.
E’ anche chiaro che nell’opera ci stiamo riflettendo, oppure l’opera ci parla e ci suggestiona o ci racconta l’universo interiore del suo autore.
Salomon Resnick (1920-2017), psicoanalista argentino, affermava infatti che l’opera creativa rappresenta in parte un tentativo di sanare o far esplodere le contraddizioni interne all’artista, mentre nel suo fruitore produce un sentimento estetico, termine che proviene dal greco "istesi", la sensazione.
Cosa che non sempre ha a che fare con la bellezza, anzi, talvolta essa ci suscita orrore o irritazione, a testimonianza che l’arte e la creatività posseggono il potere di muovere qualcosa in noi, di “farci lavorare dentro”.

Creatività come il fare dal nulla: la poiesis
Questo fenomeno ha in sé qualcosa di sacro e misterioso, come se l’effetto che la creazione produce in noi, oltre a sorprenderci, ci portasse in contatto con ciò che non sappiamo cosa sia, una qualche forza interna misteriosa che è intervenuta all’improvviso a sostenere il nostro coraggio di muoverci “oltre la soglia del noto” e che combina e trasforma le cose.
I greci chiamavano questo stato con il termine di poiesis (ποίησις), ovvero il produrre, il fare dal nulla e lo attribuivano alla capacità creativa dello spirito che è sempre presente in noi e che sa come generare, dare forma, trasformare.

Nel processo creativo delle sessioni di Arti Terapie Espressive questo fenomeno è noto: non sappiamo cosa accade e perché accade, ma all’improvviso, partendo da cose che conosciamo, iniziamo a creare accompagnati dall’arteterapeuta e, nel silenzio della stanza di Arti Terapie Espressive, mentre facciamo dal nulla e tale processo è in corso, l’opera o la forma (immagine dipinta, suono, passo di danza, sonetto, colpo di tamburo) si manifesta e ci appare nella sua sacra e sorprendente bellezza.
Contempliamo i materiali impiegati, prima inerti e comuni (un paio di forbici, colle, colori, ritagli di riviste, cartoncini etc) e ora trasformati, diventati qualcosa di nuovo!
Un fare dal nulla che ci meraviglia e smarrisce insieme e che va ben oltre i contenuti e i significati personali che l’opera creata sta cercando di trasmettere o di riflettere.

La poiesis è dunque quel fenomeno che da forma all’informe, è il lavoro che viene da sé, quando mentre creiamo abbandoniamo l’idea che abbiamo nella testa, il possibile risultato e facciamo per fare.
Allora il risultato ci sorprenderà, ciò che è arrivato manifesta le nostre tensioni e intenzioni interne, ed è radicalmente diverso da ciò che intendevamo raggiungere coscientemente.
Questa é poiesis.
C. G. Jung (1875-1961) definiva questo fenomeno creativo che smarrisce, sorprende e ci avvicina al sacro, con il termine di “funzione trascendente” e affermava che esso aveva a che fare con la potenza trasformativa dell’inconscio, con le risorse dell’immaginazione attiva che nell’arte trovavano la loro massima espressione.

Creatività: il nuovo nell’abituale, l’efficace nel nuovo
Anche Jacob Levi Moreno (1889-1974) ci ha procurato un’importante nozione di creatività: secondo il padre dello psicodramma, la creatività è “una risorsa che consente di trovare soluzioni nuove alle situazioni più comuni e risposte efficaci alle situazioni inaspettate e nuove” (Moreno, 1964).
La creatività è per Moreno la più alta forma di intelligenza che l’uomo conosca ed è una forza che pervade tutto l’universo.
Ha una sua provenienza innata, è presente cioè nel corredo biologico di ogni specie e diventa il motore dell’evoluzione della specie stessa.
Perché la creatività è atto che contiene cambiamento, essendo dotata dei due aspetti fondamentali del portare novità nelle situazioni abituali e adeguatezza in quelle nuove, fatto che permette anche alla vita delle specie viventi di evolvere, di affrontare i cambiamenti e le sfide che l’ambiente naturale pone.

Non è necessario, ci dice Moreno, essere il genio artistico o il matematico, né il filosofo: l’uomo comune è creativo nella vita di tutti i giorni e sa produrre a diversa intensità atti creativi.
Ogni persona, con diversi livelli di creatività, può compiere dunque, quotidianamente, decine di atti creativi.
Pertanto, afferma sempre Moreno se ogni uomo è potenzialmente creativo ciò vuol dire che la società e la cultura possiedono notevoli chance di cambiamento e che il futuro dipende da come la creatività viene portata o ri-portata in ogni individuo, gruppo o comunità.
Anche per il creatore dello psicodramma l’atto creativo produce sorpresa e sensazione di inaspettato, trasforma la realtà e la cambia rispetto allo stato precedente.
Esso sembra avere “un che di illogico” rispetto a precedenti modi di vedere le cose o a come ci si aspetta che le cose vadano, ma in realtà l’atto creativo possiede un suo senso ed è carico di significati, tutti da scoprire, al termine dell’atto stesso o anche mentre stiamo facendo creazione.
Quali sono per Moreno le principali caratteristiche dell’atto creativo?
Lo sono la capacità di trasmettere sorpresa, il procurare sensazione di non piena sequenza logica con la realtà comune, il sollecitare “attività” e smuovere o allontanare dalla passività e, infine, una generale capacità di modificare la realtà data e generare processi trasformativi.

Creatività e Spontaneità
Moreno asseriva infine che è la spontaneità l'energia propulsiva che porta alla creatività: se manca nella persona lo stato di spontaneità, la creatività resta inerte, qualunque sia la sua entità potenziale.
Fattore s/c, lui chimava questo binomio indissolubile.
La creatività ha bisogno della spontaneità per farsi azione che produce effetti nuovi e inaspettati.
La creatività si nutre pertanto della spontaneità, che è il motore dell’atto creativo.
D’altra parte la spontaneità presa a sé, è come un atto anarchico, senza forma e direzione.
All’inizio è atto libero da schemi e costrizioni, ma poi dovrà trovare una direzione, una nuova forma, altrimenti è caos, istrionismo, esibizionismo o impulsività, dunque un nuovo cliché.
La spontaneità è il pre-requisito di ogni esperienza creativa, rende cioè “operativa” la creatività, facendole uscire dallo stato potenziale: mentre la creatività si riferisce all’atto in se stesso, la spontaneità si riferisce alla preparazione dell’atto.
La spontaneità è dunque per Moreno il prerequisito dell'azione che rompe gli schemi e che porta al prodotto creativo.
La spontaneità si trova in ogni persona, ma è bloccata dall'esistenza dei copioni, ovvero è confinata nei ruoli cristallizzati che le persone assumono nella loro vita ed è dunque priva della possibilità di manifestarsi.
Moreno aveva messo a punto un apposito training alla spontaneità, composto da esercizi di teatro (giochi, attività di improvvisazione) il cui scopo era quello di ridurre la tensione, “mollare” le apparenze e le abitudini e.. una volta tirate giù le maschere, permettere alla creatività di emergere e realizzarsi negli atti (novità nel noto, adeguatezza nel nuovo).
La lezione di Moreno, quanto al fattore s/c, è attivamente recepita nel dispositivo Riscaldamento-Processo Creativo delle Arti Terapie Espressive, come ben vedremo durante il percorso formativo.

Creatività come risorsa di transizione
Per D. Winnicott (1896-1971), pediatra e psicoanalista inglese, allievo di Melanie Klein (a sua volta allieva di S. Freud), la creatività è una risorsa che consente al bambino di migliorare il suo rapporto con la realtà e con le difficoltà in essa insite, attraverso un equilibrato uso della fantasia.
In particolare è il gioco lo strumento che permette al bambino di muoversi creativamente, di moderare l’urto della realtà, attraverso la sosta ludica in un’area intermedia (il tappetino con i giocattoli, il cortile con i compagni), area transizionale dove tutto è possibile e immaginabile, nella quale le cose possono diventare altro, un foglio di carta si trasforma in aeroplanino e l’orsacchiotto può avere la febbre, mentre le bambole bevono il tè.
Entro quest'area la realtà resta fuori della porta e al termine si può poi tornare indietro più leggeri, perché la mente ha immaginato e creato, lo spirito ludico si è manifestato e il bambino ha elaborato, al riparo della metafora, le fatiche psichiche dovute all’adattamento alla realtà, tollerata soltanto se egli può giocarsela, restando creativo e immaginativo.
Per Winnicott è questo il vero Sé creativo, né troppo realista, né troppo immaginativo (fantasticante), ma capace di vivere, anche in età adulta, nella medesima modalità creativa del bambino.
Questa definizione è molto vicina a quella fornita dalla psicologia della Gestalt (Perls, Hefferline, Goodman, 1951), per la quale l’atto creativo è la specifica facoltà di adattamento alla vita ordinaria, “normale conseguenza del contattare l’ambiente in modo consapevole”.
In tal modo, “arte e creatività diventano una qualità della vita normale e sana” (Spagnuolo, Lobb, 2011).

Creatività come fonte di piacere
Anche la teoria corporea (bioenergetica) sottolinea l’importanza del vivere creativamente e mette in relazione la riduzione di apporti creativi con la presenza di vari differenti blocchi all’espansione e all’espressione dell’essere.
I blocchi sono difese nate per proteggerci da problemi ambientali (il fuori) e da nuclei di sofferenza inascoltabile (il dentro), ma sono anche, ovviamente un impedimento all’espansione.
Sono come antibiotici che ci tutelano da nuove infezioni, ma spengono anche ciò che di sano è rimasto all’interno di noi.
Per Alexander Lowen (1910-2008), fondatore della bioenergetica, dei sani e fluidi processi vitali, ovvero processi non ostacolati da bocchi e difese, sono fonti essenziali di energia e creatività.
Una volta rimossi gli ostacoli (i blocchi e le difese che possediamo), i processi vitali possono pertanto ripartire e le risorse creative tornare ad emergere.
Occorre tuttavia trovare un modo per farlo: per Moreno è il training alla spontaneità (i giochi, gli esercizi espressivi che riscaldano, alleggeriscono e divertono e permettono alla maschere di cadere,) per Lowen è il body-work, ovvero una serie di pratiche e tecniche energetiche per togliere peso dal corpo, scaricare tensione, respirare fluidamente, creare una base sicura a terra (grounding) per operare in modo attivo ed energetico nella realtà.
Troveremo modo, durante il percorso formativo, di conoscere le principali tecniche di riscaldamento del corpo e di rimozione dei blocchi per agevolare gli atti creativi e l’impiego terapeutico dell’arte.

Per Lowen, una persona che sta creando prova allo stesso tempo l'esperienza del piacere e questi due aspetti secondo lui non possono essere scissi:
“si può definire come atto creativo ogni forma espressiva che aggiunge ulteriore piacere e significato alla vita (...) Quindi, ne consegue che qualsiasi azione o processo che incrementi il piacere o accresca il godimento della vita fa parte del processo creativo (..). La parola giusta al momento giusto è un atto creativo. Ma anche cose semplici come un pasto ben cucinato, un nuovo arredamento per la casa o una bella serata in compagnia possono essere espressioni creative se aumentano il piacere di vivere. In senso lato, ogni atto di una persona può costituire un’opportunità per l’espressione creativa” (Lowen 1984), [una volta rimossi i blocchi all’espansione e all’espressione].

Innanzitutto un processo creativo, che potremo definire come il “fare dal nulla”, poiesis in greco, necessita, come il processo di costruzione del gruppo, di condizioni facilitanti.
Armonia, serenità, non giudizio, reciproca accettazione e assenza di competizione e contrapposizioni sono gli ingredienti climatici per un efficace processo creativo.
Quando il gruppo o il singolo sono in creazione, tutte le proiezioni, i desideri, le fantasie e il materiale che sono in blocco nell’interiorità del cliente, iniziano a farsi strada, emergere e manifestarsi nel processo artistico.
Per esempio si manifestano “sotto metafora” in una danza, in un collage, in un ruolo giocato nel teatro, in un racconto o una poesia.
Spetta poi al cliente capire i legami tra sé e la sua arte, tra le sue vicende, bisogni e vissuti interni e quanto di artistico si è manifestato.
Questo processo che possiamo definire dal dentro a fuori, consente al cliente o ai membri del gruppo di vedere parti di sé finalmente fuori di sé, intravederne l’origine e valutarne i significati.
In questo modo l’arte frutto del processo creativo concorre alla formazione della consapevolezza e della conoscenza di sé dei clienti, per non parlare dei benefici indotti dal rilascio emozionale, ovvero dall’emersione ed elaborazione del materiale psichico, prima caotico o confuso e soprattutto generatore di sofferenza interna.
L’arte in questo modo, svolge la sua funzione di catarsi (sfogo creativo) e di successiva regolazione delle emozioni.
Inoltre, quando qualcosa viene portato fuori attraverso l’arte, riconosciuto, e reso disponibile alla consapevolezza del cliente, si evita una dispersione di energia legata ad attività come il sognare ad occhi aperti senza riuscire a trasformare nulla nella vita reale, oppure al proiettare ciò che appartiene a sé, specie se negativo, su altre persone.
1. In filosofia, la poiesis è "l'attività in cui una persona crea qualcosa che prima non esisteva".
Nicola Sensale, 2017-2021. Riproduzione integrale o parziale ammessa, purché citando le fonti.
BibliografiaJules-Henri Poincaré, Scienza e metodo, Einaudi, 1997
G. Boria, Lo psicodramma classico, Franco Angeli, 2000
M.Pizzimenti e altri (Spagnuolo, Lobb), La creatività come identità terapeutica. Atti del II Convegno della Società Italiana Psicoterapia Gestalt, Franco Angeli 2011
D. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, 2005
Alexander Lowen, Bioenergetica, Feltrinelli 2013
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