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Immagine del redattoreNicola Sensale

Il transfert: la “passione” del cliente per il suo terapeuta



“La situazione transferale difensiva è quella che nella porzione di mente onnipotente del cliente é volta a creare il cambiamento auspicato senza dover compiere i passi necessari per attuarlo, compito che diventa invece dovere dell'operatore di cura, il quale possiede la magia per poterlo realizzare”.

 

“Non è solo il cliente a percepire l’altro come qualcuno del suo passato. Anche l'operatore possiede conflitti e istanze irrisolte, nonostante il percorso effettuato”.



E’ stato Freud a parlarci per primo del transfert, intendendo con tale termine il processo di trasposizione inconsapevole sulla persona dell’analista di rappresentazioni e aspettative possedute dal paziente, che traevano origine dalle interazioni con le figure significative della sua infanzia.

 

Freud scoprì questo meccanismo abbastanza incidentalmente, ovvero si rese conto soltanto attraverso la pratica clinica, della tendenza dei pazienti a investire sull’analista alcune fantasie che andavano ben oltre le legittime aspettative di guarigione dei sintomi.


Tali fantasie riguardavano una sfera molto più personale, come quella degli affetti e dei desideri, anche sessuali, come se l’analista oltre a occuparsi delle difficoltà dei pazienti, fosse lì per sopperire in prima persona alle carenze da altri procurate loro in passato.


Anche le paure erano coinvolte nel meccanismo transferale, paure e timori di ripetere con il terapeuta alcune delle esperienze negative e dolorose vissute con le figure parentali, ovvero paura che egli potesse comportarsi in modo analogo al genitore “cattivo”. Se Il transfert non veniva disvelato, il paziente non sarebbe mai stato conscio dei suoi comportamenti ripetitivi, avrebbe continuato a comportarsi in modo coatto anche nelle sedute e la terapia non avrebbe mai dunque procurato beneficio. Al contrario, l’interpretazione del transfert messa in atto dall’analista avrebbe dato modo al paziente di lavorare sul suo stesso passato.

Freud dovette scoprire a sue spese, che anche l’analista poteva rispondere al transfert del paziente con una sua reazione emotiva, definita controtransfert, la quale poteva configurarsi come una sorta di adesione alle aspettative inconsce del paziente.

 

Anche l’analista cioè, poteva desiderare inconsapevolmente di essere, ad. es., un buon padre, una buona madre, una discreta amante per il suo/la sua paziente.

 

Ciò rivelava la presenza di una specifica vulnerabilità nell’analista , che non era stata ancora integrata e che gli faceva, a sua volta, vedere nel paziente una persona del suo passato.



Per Freud il controtransfert era un fastidioso impedimento al buon esito della terapia e manifestazione di una vulnerabilità da sorvegliare, frutto di un'analisi personale che forse l'analista non aveva condotto in modo approfondito e che poteva ostacolare la sua saggezza interpretativa e allontanarlo dall’osservazione accurata dei “fatti” che accadevano in seduta.

 

Una concezione ormai ritenuta superata poiché, come sappiamo e si ammette oggi, la neutralità dell'operatore di cura è più un mito che una realtà tanto che, come vedremo, quest'ultimo partecipa attraverso la sua psicologia, ovvero attraverso i suoi vissuti controtransferali, alla costruzione della dinamica transferale del suo cliente.




Per Freud il dispiegarsi della dimensione transferale era il vero scopo dell'analisi, circostanza che andava favorita e nella quale il paziente poteva ritornare al passato e rimettere in atto, nei confronti dell'analista, tutti quei comportamenti distorti che facevano parte delle sue principali nevrosi.

 

Non restava che interpretarli così da rendere edotto il paziente della vera natura delle sue dinamiche psicologiche, della provenienza delle sue afflizioni e dei sottostanti conflitti infantili rimossi.

 

Poiché il padre della psicoanalisi non attribuiva grande importanza alla relazione reale tra paziente e analista quale fattore influenzante la cura (per Freud il paziente era più o meno sempre in regressione), la sua attenzione si concentrò per lo più sulla relazione intrapsichica (basata cioè sulla fantasia transferale) e sulla conseguente somministrazione dell'interpretazione al paziente che, se precisa e tempestiva e in presenza di un buona alleanza, poteva avere potenti effetti sulla consapevolezza del paziente, come sulla sua capacità di ricordare e rielaborare emotivamente ciò che fino a prima di allora aveva rimosso e dimenticato, perché troppo doloroso o terrificante.



Freud chiamava l'investimento del paziente sul terapeuta con il termine specifico di nevrosi di transfert: l'analista, come detto, diventava il sostituto delle figure parentali significative del suo passato e per suo tramite il paziente poteva sia vivere le emozioni che ri-agire i comportamenti distorti e conflittuali che era solito mettere in atto con quelle stesse figure un tempo.

 

Per il padre della psicoanalisi la nevrosi di transfert diventava dunque un elemento importantissimo per poter comprendere la vita interna del paziente e il modo in cui era psichicamente organizzato.

 

Essa era non solo inevitabile, bensì persino necessaria, poiché l’analista, diventando target di proiezione, andava a sostituire gli oggetti d’amore perduti in passato dal paziente e consentendo, in una situazione protetta, l’emergere di antichi conflitti, desideri e timori  non solo mai risolti, ma neanche conoscibili prima.

 

Grazie all'aiuto dell'analista, consistente prevalentemente nel non farsi coinvolgere, nel restare ciò nella neutralità analitica, il paziente avrebbe potuto ricordare, riattualizzare (nei confronti dell'analista) e infine rielaborare (grazie al suo aiuto), i dolorosi vissuti infantili.



É passato molto tempo dalle prime teorizzazioni sul transfert e il controtransfert sviluppate da Freud e nuovi studi e scoperte hanno grandemente ampliato la conoscenza di tale meccanismo intercorrente tra il paziente e il suo curante, meccanismo che si ritiene oggi estendibile a qualsiasi relazione d'aiuto, nella quale aspetti di realtà e aspetti più proiettivi e fantasmatici si mescolano assieme rendendo più complesso, ma anche potenzialmente più leggibile (possedendone gli strumenti), il lavoro di cura.

 

L’acquisizione, cognitiva ed esperienziale, del concetto di transfert non deve dunque servire all’operatore della cura soltanto per renderlo idoneo all’interpretazione della vita interna del cliente/utente, al contrario, questo concetto potrà diventare strumento di conoscenza degli accadimenti relazionali propri a ogni incontro di cura, al fine di calibrare con maggior efficacia gli specifici interventi e comprendere, inoltre, quali i limiti da rispettare nel proprio agire tipico.


Bibliografia

G.Gabbard, Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina editore

Nancy Mc Williams, La diagnosi psicoanalitica, Ubaldini Astrolabio

Analisi bioenergetica in dialogo: Raccolta di scritti, a cura di Cinotti e Zaccagnini, Franco Angeli

Glen O. Gabbard, Amore e Odio nel Setting Analitico Astrolabio Ubaldini

Michael Stone, Pazienti trattabili e non trattabili, Raffaello Cortina editore

Il guaritore ferito, la vulnerabilità del terapeuta, A cura di Moselli, Franco Angeli

E. Racker, Studi sulla tecnica psicoanalitica, transfert e controtransfert, Armando Editore

Merciai e Cannella, Psicoanalisi nelle terre di confine, Raffaello Cortina editore

Jeremy Holmes, La teoria dell'attaccamento, Raffaello Cortina editore

 

Articolo a cura di Nicola Sensale,  2016, riproduzione parziale o totale del presente articolo ammessa, citando l'autore medesimo. ​

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