La strada della consapevolezza: Mindfulness e Mindful Eating. Nutrire l’anima e il corpo
- Georgiana Celina Dutu
- 6 giorni fa
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Aggiornamento: 3 giorni fa
Georgiana Celina DutuDurante

Durante la mia esperienza da tirocinante, presso l’istituto RES, ho avuto modo di partecipare all’incontro di Mindfulness e Mindful Eating, un’esperienza condotta dallo psicologo e psicoterapeuta Nicola Sensale.
La pratica si è aperta con una sessione di Mindfulness, durante la quale siamo stati invitati ad entrare in uno stato di consapevolezza volto a connettersi con il momento presente, per poi accompagnare il gruppo ad un’esplorazione più concreta, il Mindful Eating, attraverso l’esperienza diretta con il cibo.
Come spiegato dal conduttore, per Mindfulness si intende una forma specifica di meditazione che ha come obiettivo il raggiungimento di uno stato di consapevolezza del momento presente, una mente piena caratterizzata da un atteggiamento non giudicante nei propri confronti e degli altri, che invita a lasciare fuori pensieri distrattivi, come fughe in avanti, day dreaming e rimuginamenti sul passato, che possono ostacolare la connessione con noi stessi.

Il padre di questa pratica è Jon Kabat-Zinn, un medico e biologo che, approfondendo il concetto di buddismo, zen, yoga e meditazione, ha fondato quella che noi oggi chiamiamo Mindfulness.
Kabat-Zinn sostiene che la consapevolezza che nasce dal prestare attenzione con intenzionalità, nel momento presente e in modo non giudicante all’esperienza che si dispiega, aiuta a coltivare saggezza, gratitudine e compassione (Kabat-Zinn, 2015). Il suo intento è stato quello di dimostrare come effettivamente questa pratica abbia ripercussioni benefiche a livello mentale e corporeo, dimostrandone i benefici mentali e fisici, e supportandoli con basi scientifiche.

La Mindfulness non solo migliora il benessere psicologico durante la pratica, ma produce effetti duraturi nel tempo. Negli ultimi trent’anni, è stata integrata in molti programmi psicoterapeutici proprio per questi benefici. Studi con risonanza magnetica hanno evidenziato differenze significative nella morfologia della sostanza grigia in diverse aree cerebrali dei praticanti, dimostrando che l’acquisizione di nuove competenze, come informazioni astratte, abilità motorie, allenamento cognitivo, può aumentare la quantità di sostanza grigia nel cervello, suggerendo una plasticità cerebrale associata alla pratica mindfulness (Hölzel, Carmody, Vangel, Congleton,Yerramsetti, Gard, Lazar, 2011).
La pratica, dunque, rafforza il sistema immunitario, stimola la neuroplasticità cerebrale, consente una migliore elaborazione e integrazione delle emozioni e delle sensazioni corporee, e favorisce una maggiore creatività, attraverso l’uso sistematico dell’attenzione.
Jaak Panksepp e i Sistemi Emotivi
Il conduttore ha introdotto brevemente anche il concetto di Jaak Panksepp, psicologo, neuroscienziato e biologo, il quale ha formulato la teoria dei sette sistemi emotivi di base: ricerca, paura, rabbia, desiderio sessuale, cura, tristezza e gioco, che determinano i nostri comportamenti e le nostre esperienze soggettive.
In queste attività quello che si attiva maggiormente è il sistema di cura, che ci predispone in un momento di attenzione verso noi stessi e gli altri, attraverso la connessione, l’empatia, la gentilezza e la compassione (Alcaro, 2013).

Come sosteneva il filosofo greco Socrate attraverso la sua celebre frase “so di non sapere”, nella pratica della Mindfulness è fondamentale adottare la mente del principiante: un atteggiamento aperto, libero da preconcetti, che accetta i fallimenti come parte del processo. Questo modo di osservare il mondo, permette di vivere il presente con curiosità, spontaneità e stupore, favorendo l’apprendimento e il cambiamento.
Questa celebre frase, con gli anni, è diventata per me un punto di riferimento personale. L’atteggiamento di apertura e umiltà ha influenzato profondamente il mio modo di affrontare la vita e le nuove esperienze, spingendomi a imparare a mente aperta.
Accettazione e Pazienza

Come ha sottolineato anche il conduttore, coltivare questa consapevolezza aiuta ad accettare che non possiamo controllare tutto, ma possiamo imparare ad avere pazienza, restare nel momento presente e lasciare andare ciò che non possiamo cambiare.
A tutti è capitato di restare bloccati nel traffico o in lunghe code agli sportelli. In quei momenti di frustrazione, ci si illude che la rabbia possa aiutarci a far scorrere il tempo più velocemente, dimenticando che anche gli altri vivono la stessa impazienza. È proprio in situazioni come queste che la pratica della consapevolezza aiuta a riconoscere quanto spesso la fretta sia un costrutto mentale, e come imparare a rallentare possa diventare un atto di equilibrio.
Differenze Culturali ed Esperienza Personale
Durante l’esperienza, il conduttore, ha evidenziato le differenze tra il modo di vivere occidentale e quello orientale, sottolineando come in molte culture asiatiche sia centrale il rispetto per gli altri, la calma e l’armonia. Queste riflessioni mi hanno fatto pensare alla mia esperienza personale in Portogallo, un Paese che ho imparato ad amare grazie al programma Erasmus. La gentilezza diffusa, la calma nelle interazioni quotidiane e il rispetto reciproco, persino nel traffico, mi hanno ricordato i principi della cultura orientale, distanti dalla frenesia che caratterizza gran parte dell’Occidente. Il Portogallo mi ha colpita per l’attenzione verso gli altri, per i ritmi più lenti e per un rapporto più autentico con la natura e con il tempo.
Un approccio che mi ha profondamente cambiata rendendomi paziente, più creativa, e più presente.
Grazie al tirocinio e alle pratiche che sto scoprendo presso l'istituto RES, ho l’opportunità di rimanere connessa con quella versione di me stessa che ha imparato a vivere con più consapevolezza e semplicità.

La Pratica di Mindfulness e l'Esperimento sui Rettangoli
La pratica è iniziata posizionandoci in cerchio in piedi, concentrandoci sulla respirazione consapevole al fine di immergerci nel momento presente, e liberare la mente dai pensieri. Durante l'esecuzione della respirazione profonda, il nostro corpo rilascia endorfine, favorendo il rilassamento, riducendo lo stress e portandoci ad uno stato di tranquillità.

Nel corso dell’esperienza, mi sono concentrata sul respiro e sui movimenti del corpo, notando la difficoltà nel seguire il ritmo suggerito dal conduttore, e il giudizio che stavo mettendo in atto verso me stessa.
Dopo aver condiviso le mie impressioni, in una seconda pratica guidata, ho accolto la gentilezza e la compassione nei miei confronti, permettendomi così di migliorare la respirazione raggiungendo una maggiore calma, e realizzando quanto sia facile cadere nel giudizio.
In un secondo momento, per promuovere l’empatia e l’apertura mentale, il conduttore ha proiettato un video di un esperimento danese che mostrava come le persone, raccolte in una stanza con rettangoli disegnati a terra, si collocassero autonomamente in base a categorie come professione, abbigliamento, nazionalità, provenienza etnica.
Questo esperimento ha evidenziato la tendenza umana a categorizzare gli altri per sentirsi parte di un gruppo, ma anche di creare divisioni e differenze con chi è percepito come “diverso”.

Tuttavia, durante l'esperimento, si è potuto osservare come, attraverso specifici input forniti dagli sperimentatori, fosse possibile generare un reciproco stato di incontro tra persone inizialmente divise per ceto, background ed etnia. Questo ha favorito un'apertura verso l'incontro con l'altro e la condivisione tra i gruppi, suggerendo la possibilità di superare pregiudizi e scoprire somiglianze più profonde.

L’esperienza ha suscitato in me commozione, nel vedere le persone che si collocavano nei differenti quadranti insieme a persone di altri gruppi, realizzando che in realtà vi sono più somiglianze piuttosto che differenze, e compassione nel momento in cui ho notato l’apertura mentale da parte delle persone, sottolineando l’importanza di andare oltre le barriere mentali e accogliere gli altri.
L'Esercizio del Cerchio
Successivamente, il conduttore ha fatto sperimentare al nostro gruppo, una situazione simile al video proiettato. Siamo stati invitati a posizionarci in cerchio, per inserirci al suo interno, se affermazioni personali come “fai un passo avanti se sei figlio/a unico”, “fai un passo in avanti se hai mai perso qualcuno di caro nella tua vita”, “fai un passo avanti se hai mai fatto un gesto altruista” ecc. ci caratterizzavano.
Inizialmente sono rimasta colpita da come una frase così semplice come “fai un passo avanti se sei figlio/a unico” possa mettere in difficoltà una persona se dovesse ritrovarsi nel cerchio da sola.
A livello emotivo questa esperienza ha avuto un grande impatto, perché molte volte sarei potuta essere l’unica all’interno del cerchio, e questo avrebbe scatenato in me la paura del giudizio, rendendomi vulnerabile. Ho notato come nonostante la paura, nel momento in cui mi rispecchiavo nelle affermazioni, mi posizionavo all’interno del cerchio, sperando che, come io non giudicavo gli altri, nemmeno l’altro giudicasse me. In quei momenti era piacevole ritrovare nel cerchio insieme a me, qualcuno che condividesse la mia stessa esperienza.
Ho sperimentato emozioni intense, dalla paura del giudizio alla commozione nel riconoscere esperienze comuni negli altri, creando un clima di empatia e accettazione. L’esperienza ha rafforzato in me la consapevolezza dell’importanza di accogliere l’altro con tutte le sue differenze.

Walking Meditation
Per concludere la prima parte dell’esperienza, il conduttore ci ha proposto un esercizio chiamato Walking Meditation, mirato a prendere consapevolezza delle sensazioni provate in quel dato momento, prevalentemente corporee, durante una pratica di movimento. L’atto del camminare consente di mantenere l’attenzione focalizzata, di concentrarsi sul respiro, sulle piante dei piedi a contatto con il terreno, e ancora una volta, liberare la mente.
Durante la pratica, ho sperimentato una profonda connessione con me stessa, con il mio corpo, con le mie sensazioni e le mie emozioni. Ho sentito il peso del corpo radicarsi nel terreno, il freddo sotto la pianta dei piedi, e la stabilità offerta dalla superficie che mi sosteneva. È stato un momento di quiete interiore in cui ho percepito la mia presenza nel “qui e ora”.

Introduzione al Mindful Eating
Il percorso esperienziale si è dunque articolato in due momenti profondamente connessi, orientati a coltivare una consapevolezza che può trovare spazio nel gesto quotidiano del consumare il cibo, trasformandolo in un atto di attenzione e cura. In particolare, la giornata ha previsto una merenda Mindfulness, un’opportunità per sperimentare l’alimentazione consapevole.
Tra le motivazioni che mi hanno spinta a partecipare anche alla seconda parte del workshop, che presentava la Mindful Eating, vi era il desiderio di comprendere più a fondo il mio rapporto con il cibo. Questo percorso è arrivato in un momento di transizione personale, e in questo nuovo equilibrio ancora da trovare, questa parte del workshop rappresentava per me un’occasione per acquisire strumenti concreti, e accogliere il cambiamento con maggiore consapevolezza.

Il conduttore ci ha spiegato come la Mindful Eating sia una pratica di consapevolezza incentrata sul cibo, e che dunque consiste nel prestare attenzione alle sensazioni fisiche ed emotive che si provano durante un pasto. Aiuta a migliorare il rapporto con il cibo e il proprio corpo, ridurre l’alimentazione fuori controllo e attivare tutti i sensi, provando a ridurre le distrazioni, come ad esempio guardare una serie tv o stare sul telefono, che ci portano a perdere la consapevolezza del momento presente, quando ci nutriamo.
La mindfulness sembra agire attraverso un aumento della consapevolezza degli stimoli interni, più che di quelli esterni, che inducono a mangiare.

Mindfulness e Mindful Eating hanno il potenziale per affrontare comportamenti alimentari problematici e le difficoltà che molti incontrano nel controllare l’assunzione di cibo.
Il Mindful Eating consiste dunque nel fare scelte alimentari consapevoli, sviluppando una consapevolezza dei segnali di fame e sazietà fisici rispetto a quelli psicologici, e nel mangiare in modo sano rispondendo a tali segnali (Warren, Smith, Ashwell, 2017).

Inoltre, è stata spiegata dal conduttore la differenza tra fame fisica e fame emotiva.
Il primo atto nutritivo avviene all’interno di una relazione affettiva. La prima esperienza di soddisfacimento di un bisogno, la fame, avviene all’interno della relazione primaria con la propria madre o caregiver, che prendendosi cura di noi, ci offre cibo e cure.

Dunque, la funzione nutritiva, fin dall’inizio, si collega ad una dimensione affettiva. Il contatto fisico e la gratificazione che il bambino riceve mentre viene alimentato, gettano le basi del rapporto tra emozioni e cibo. Se la madre riuscirà a soddisfare i bisogni del bambino, avrà molte fonti di gratificazione, al contrario se l’ambiente è meno favorevole, il bambino crescendo, può essere incapace di trovare altre fonti di gratificazione, e da adulto avrà maggiore probabilità di approcciare il cibo come se fosse l’unica fonte di sostegno emotivo.
Il cibo, pertanto, può diventare fonte di piacere, celebrazione, socializzazione, ma può anche diventare una strategia di consolazione e sfogo di emozioni a valenza negativa come ansia,

solitudine, noia, stress. In questi casi si parla di fame emotiva, arrivando a mangiare per colmare vuoti emotivi piuttosto che mangiare per fame vera e propria.
La fame fisica è invece procurata da sensazioni corporee, come brontolio o dolore allo stomaco o perdita delle forze, che indicano un bisogno fisiologico di nutrirsi. È dunque un bisogno di mangiare generalizzato, a differenza della fame emotiva che richiede il consumo di cibi specifici, generalmente molto calorici e saporiti, i quali ci permettono un soddisfacimento immediato e una scarica della tensione, ma senza permettere di saziarsi, come avviene per la fame fisica.
In una fase successiva, il conduttore ci ha proposto di fare un questionario con domande mirate alle nostre abitudini alimentari, per poi condividere quale di esse ci ha colpito maggiormente.
Le domande erano orientate ad approfondire la propria esperienza e prendere spunti per

potersi comprendere meglio. Alcune di queste domande erano rispettivamente “quanto ti preoccupi del tuo aspetto e del tuo peso?”, “ti capita di provare vergogna anche dopo aver mangiato?”, “ti capita di usare il cibo per affrontare emozioni?”, ecc.
Approfondimento Fame Emotiva
La fame emotiva è una risposta complessa a stati di stress, difficoltà o bisogno di conforto, che si manifesta spesso, non come un vero bisogno fisico di cibo, ma come un tentativo di lenire emozioni negative quali tristezza, rabbia o solitudine.
Mangiare diventa allora una strategia per sopprimere o alleviare queste emozioni,

sabotando gli sforzi di mantenere una routine sana. Questo può generare un circolo vizioso, in cui il senso di colpa e la diminuzione dell’autostima, alimentano ulteriormente il problema.
Questo momento è stato per me un momento di grande consapevolezza, in quanto mi ha permesso di riconoscere comportamenti disfunzionali, spingendomi a riflettere con maggiore attenzione sul perché di una fame improvvisa, e su che cosa ci sia realmente dietro.
Praticare la Mindful Eating significa per me, imparare ad essere presenti a se stessi, anche mentre si mangia, permettendo di entrare in contatto con ciò che sentiamo davvero e comprendere che sia possibile esercitare un controllo più sano e consapevole, rispondendo agli impulsi in maniera adattiva e non impulsiva.
È scientificamente provato, che gli individui, possono mangiare anche se sazi e con scorte energetiche adeguate (Anand Mishra, 2012). Un elemento centrale del Mindful Eating, è l’attenzione ai processi coinvolti nella sazietà specifica, ovvero il fenomeno per cui le papille gustative diminuiscono la loro sensibilità ai sapori, dopo relativamente piccole quantità di un determinato cibo. Questo processo di consapevolezza dei segnali di fame e sazietà può ricalibrare la sensibilità nelle aree cerebrali di ricompensa (Kristeller, Wolever, Sheets, 2014).
Per affrontare efficacemente la fame emotiva, è fondamentale imparare a distinguere tra fame fisica ed emotiva.
Strategie per Gestire la Fame Emotiva

Come spiegato dal conduttore, un approccio utile consiste nel fermarsi a riflettere sul momento prima di un’abbuffata, valutando quando si è mangiato l’ultima volta e se si sente davvero fame.
Se la fame è di natura emotiva, è importante identificare le emozioni presenti e trovare modi più sani per gestirle, come dedicarsi a un’attività piacevole, fare una passeggiata o cercare il contatto con una persona cara.
Eliminare le tentazioni alimentari poco sane dall’ambiente domestico e adottare abitudini equilibrate può anche facilitare questo processo, aiutando a migliorare la percezione del senso di sazietà e a spezzare il circolo vizioso della fame emotiva.
Come ultima parte dell’esperienza, il conduttore ci ha trasportati in un vero e proprio viaggio sensoriale attraverso il cibo, coinvolgendo, in modo graduale, tutti e cinque i sensi, invitandoci a riscoprire il legame tra percezioni corporee, emozioni e ricordi.
L’esplorazione è iniziata con un gesto semplice ma coinvolgente, quello di ascoltare il suono prodotto da una busta di carta contenente delle noci. Siamo stati invitati a focalizzarci sul rumore, e indovinarne il contenuto attraverso l’udito. Subito dopo, siamo stati invitati a passare all’esperienza tattile, estraendo le noci dalla busta e toccandone la superficie rugosa. Questo momento, ha reso subito evidente quanto, nel quotidiano, tendo a sottovalutare l’importanza dei sensi in relazione al cibo.

Successivamente, abbiamo attivato gli altri sensi, a partire dalla vista, osservando con attenzione gli alimenti che ci venivano offerti.
Questo momento mirava a rallentare, e a trasformare l’atto del consumare il cibo, in un atto di consapevolezza.

Il passaggio all’olfatto è stato altrettanto interessante, il profumo intenso del cioccolato e la dolcezza della banana secca tailandese.
Infine è arrivato il momento tanto atteso, quello del gusto. Ci è stato chiesto di assaggiare lentamente ogni alimento, assaporando con piena attenzione e consapevolezza, focalizzandoci sulle reazioni del corpo, le emozioni e i ricordi che affioravano durante la degustazione.
Durante questa esperienza, ho avuto modo di apprezzare con grande intensità anche un alimento semplice come una noce. Mi sono concentrata su un singolo pezzo, apprezzandone il sapore e sentendo come stesse mandando segnali immediati al cervello. Allo stesso tempo, emergeva un istinto primordiale: la voglia irrefrenabile di masticare, il bisogno fisico e“mammifero” che si faceva sentire. Questo contrasto tra la lentezza consapevole e l’impulso automatico mi ha colpita profondamente, perché raramente mi era capitato di gustare una noce in quel modo, cogliendone ogni caratteristica.

Sono rimasta affascinata da questa esperienza, ha risvegliato in me ricordi d’infanzia e sensazioni quasi dimenticate. È emersa in me la consapevolezza che il cibo non è solo nutrimento fisico, ma anche emotivo, sensoriale e simbolico, e che rallentare può trasformare uno spuntino in un momento di connessione con sé stessi.
Come ultima attività, abbiamo praticato nuovamente la Walking Mindfulness, ma questa volta, a differenza della sessione precedente dedicata alla Mindfulness, dovevamo tenere in mano un semplice bastoncino di legno Inizialmente con un dito, in seguito con due, per poi arrivare a toccarlo interamente con la mano e sentirne la consistenza, la superficie, l’odore e vederne i particolari attraverso la vista.

Questo esercizio è stato per me soddisfacente perché da una parte l’atto di camminare mi portava in uno stato di serenità, ma il tenere il bastoncino in mano, non mi permetteva di distrarmi e dunque mi portava inevitabilmente a restare nel presente.
Ciò che ho notato è stato un parallelismo con l’esperienza provata con il cibo. La parte iniziale della walking meditation consisteva inizialmente nel guardare e toccare l’oggetto solo con un dito, per poi toccarlo con due e infine con tutta la mano. La percezione di poter finalmente toccare il legno con tutta la mano, ha suscitato in me una gradevole sensazione simile a quella provata nel momento finale della masticazione della noce.

Abbiamo concluso l’attività con un momento di condivisione collettiva e una frase simbolica da portare con sé. La mia è stata “apprezzare e vivere il momento nel qui ed ora”. Una frase semplice, ma che per me ha assunto un significato profondo durante l’intera attività. Vuol dire essere pienamente immersi nell’istante, vivere con consapevolezza, assaporando ogni istante come un’opportunità unica, e trovando la bellezza nelle piccole cose.
Grazie a questa attività di Mindfulness e Mindful eating e alle spiegazioni fornite dal conduttore, sono riuscita ad avere più chiarezza sulle mie abitudini.
La Mindfulness non è solo una pratica, ma un invito a tornare in contatto con sé stessi.
Bibliografia
Alcaro, A. (2013). “Jaak Panksepp e le neuroscienze dell'affettività”. Studi junghiani: rivista semestrale dell'Associazione italiana di Psicologia Analitica: 37/38, 1/2, 2013, 117-129.
Anand Mishra, M. B. B. S. (2012). “Neurobiology of eating disorders-an overview”. Journal of Biological Psychiatry, 12(6), 400-443.
Hölzel, B. K., Carmody, J., Vangel, M., Congleton, C., Yerramsetti, S. M., Gard, T., & Lazar, S. W. (2011). “Mindfulness practice leads to increases in regional brain gray matter density”. Psychiatry research: neuroimaging, 191(1), 36-43.
Kabat-Zinn, J. (2015). “Mindfulness”. Mindfulness, 6(6), 1481-1483.
Kristeller, J., Wolever, R. Q., & Sheets, V. (2014). “Mindfulness-based eating awareness training (MB-EAT) for binge eating: A randomized clinical trial”. Mindfulness, 5, 282-297.
Warren, J. M., Smith, N., & Ashwell, M. (2017). “A structured literature review on the role of mindfulness, mindful eating and intuitive eating in changing eating behaviours: effectiveness and associated potential mechanisms”. Nutrition research reviews, 30(2), 272-283.
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