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Immagine del redattoreStephen K. Levine

Cosa sono le Arti Terapie Espressive? Di Stephen K. Levine

Di Stephen K. Levine


Io le vedo come un approccio terapeutico che mette la creatività al centro dell’esperienza umana.

 

In questo approccio, l’essere umano è visto come essenzialmente creativo e capace di dare origine a qualcosa di nuovo.

 

Forse tutta la vita, da un punto di vista biologico, possiede questa capacità di rinnovare e rigenerare costantemente se stessa, ma negli esseri umani, la capacità creativa si manifesta anche nell’arte. 



Produrre qualcosa di artistico o attivare la capacità di creare (poiesis) non solo ci permette di portare avanti qualcosa, ma anche di portarlo avanti come qualcosa che sia stato creato, per esporre la propria stessa qualità creativa in forma di bellezza.




La sofferenza allora si manifesta quando l’impulso creativo è bloccato: quando siamo bloccati e incapaci di andare oltre la realtà di ciò che è, perdiamo il senso della vitalità.

 

Siamo come morti al mondo e a noi stessi. 

 

La creatività esiste anche di fronte alla morte, essa rappresenta la fragilità della vita stessa.

 

A dispetto dell’inevitabilità della perdita, noi andiamo avanti a costruire nuove forme di vita, ben sapendo che anche esse verranno a mancare.

 

Come dice la poetessa Elizabeth McKim, "noi siamo spaventati e sacri/nel cerchio del mondo". 


Nella relazione terapeutica, noi cerchiamo di aiutare un’altra persona a cercare le possibilità presenti nel suo modo di essere, anche quando essa non possa vederle o metterle in atto da se stessa.

 

Noi lo facciamo avvalendoci  del mondo alternativo dell’immaginazione: aiutando la persona a fare un passo oltre il ristretto mondo della sua esperienza per aprirsi a ciò che può arrivare.

 

Lo sperimentare la poiesis in terapia, può diventare una guida per la propria esperienza nella vita.

 

Se posseggo un senso della mia capacità creativa nello spazio terapeutico, io posso più facilmente diventare consapevole di ciò nella mia esistenza quotidiana, nel mio lavoro e nelle mie relazioni. 

 

Come terapeuta, io ho il dovere di essere lì per il cliente, non imponendo la mia percezione di ciò che sarebbe meglio per lui, ma facilitando la sua abilità nel cogliere una nuova concezione della sua vita.

 

Io devo sostenere e confermare la sua esperienza attraverso una sintonizzazione empatica, ma allo stesso tempo incoraggiarlo ad andare oltre la sua esperienza di disagio, verso quella della crescita creativa.

 

Dunque la relazione terapeutica diventa il terreno che fornisce al cliente una base per andare avanti, ma non è questo di per sé l’obiettivo, l’empatia non è sufficiente, occorre anche l’incoraggiamento a creare un nuovo mondo e un nuovo sé.


Questo é vero non solo per l’individuo, bensì anche per il gruppo sociale.

 

Quando una società blocca le sue capacità creative, colpisce le persone direttamente.

 

Routine prive di senso e adesione alle regole che sono sperimentare come non appartenenti a sé, caratterizzano la vita quotidiana.

 

Non esiste un'altra cosa come l'immaginario sociale, ovvero come la capacità di una società di immaginare le possibilità che le spettano per una vita più creativa per tutti.

 

Quindi è possibile portare l’approccio delle Arti Terapie Espressive in una sfera sociale più ampia, per lavorare nella direzione di un cambiamento sociale che creerà un mondo in cui ognuno sia in grado di vivere più pienamente, accedendo al proprio personale potenziale creativo. 


Che si lavori con il singolo o con la comunità, vale lo stesso principio: il facilitatore può aiutare coloro con cui sta lavorando a far emergere ciò che per loro è possibile.

 


Egli non può imporre la sua personale idea di ciò in cui dovrebbero imbattersi.

 

Questo modo di aiutare richiede un assetto ricettivo e responsivo. 

 

In effetti, questo è lo stesso approccio che rende possibile l'atto creativo.

 

Non si può forzare qualcosa di nuovo a emergere; si può solo preparare il terreno rimanendo attenti alle possibilità che ci sono al momento.

 

Che sia attraverso la realizzazione di un lavoro artistico o attraverso un atto terapeutico, si deve lasciar andare il bisogno di controllare ciò che sta avvenendo.

 

E’ invece necessario permettere che qualcosa emerga, senza in anticipo sapere di che cosa si tratterà. 




E qui che il coraggio di creare entra in gioco; ci vuole coraggio per andare verso un territorio sconosciuto, guidati solo dalla nostra fiducia che insieme in qualche modo troveremo una via per attraversarlo.

 

Questa fiducia è basata sulla nostra propria esperienza di “apripista” (pionieri).

 

A meno che non abbiamo fronteggiato l’abisso noi stessi e trovato il coraggio di andare avanti, non possiamo infatti presumere di servire da guida per gli altri.

 

Le nostre competenze possono in quel momento essere messe al servizio di un’altra persona: “occorre un’agile guida, per attraversare un fragile ponte” (McKim).

 

Questa abilità non è basata su di un preesistente bagaglio teorico, che sia psicologico o sociale, ma sulla nostra propria capacità di creare di fronte al vuoto.


Noi siamo passati attraverso il deserto per primi e abbiamo appreso che possiamo sopravvivere e trovare nuovi sentieri per andare avanti.​

 

Le Arti Terapie Espressive sono la riscoperta di qualcosa che abbiamo conosciuto nel corso della storia: non non siamo solo determinati da forze esterne (economiche, politiche, psicologiche o anche neurologiche), ma siamo capaci di rispondere a ciò che c'è e mettere in atto possibilità che ristagnavano o rimaste nascoste fino a quel momento.

 

Noi siamo al servizio di una nuova vita. Celebriamolo in tutto ciò che facciamo.  

 

 

 

What  is  Expressive  Arts  Therapy? - A personal statement by Stephen  K. Levine  traduzione di Nicola Sensale 

Le immagini presenti all'interno dell'articolo sono state desunte dalla pagina Facebook di Stephen K. Levine.

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