Di recente, durante il mio tirocinio, in quanto futura psicologa, presso l’Istituto RES di
Torino, mi è capitato di partecipare ad un’esperienza di sperimentazione del concetto di
transfer intermodale presso l’Istituto stesso. Si trattava di una delle lezioni di formazione
previste per gli studenti del corso di Arti Terapie Espressive. Non conoscevo questo
concetto prima di questo momento e devo dire di esserne rimasta affascinata.
Come prevede di consueto il metodo Artes (Arti Terapie Espressive), inizialmente abbiamo
condotto una fase di riscaldamento, la quale è iniziata con una camminata immersiva nello
spazio, sperimentando diverse andature e velocità, cui sono seguiti una serie di contatti
tonici sicuri volti all’instaurarsi di una iniziale connessione tra tutti i membri del gruppo e,
infine, una danza condivisa, per la quale sono stati impiegati alcuni cordellini in funzione di
oggetti mediatori. La fase del riscaldamento si è rivelata molto utile per me per allentare
tensioni fisiche e mentali e per creare un’intesa con le persone presenti.
In seguito mi sono immersa con entusiasmo nel vero cuore della lezione: il transfer intermodale! Quest’ultimo si riferisce all’atto del muoversi, durante una sessione come ad
es., sostenere l’intensità del processo espressivo artistico o superare un blocco creativo
del singolo o del gruppo nel suo insieme. Preciso che le cinque Arti Terapie Espressive
Intermodali secondo il Metodo Artes consistono nelle Arti Visive, Teatro, Danza, Ritmo e
Voce e Scrittura Creativa.
Per quanto mi fosse chiaro che cosa si intendesse per transfer intermodale a livello
teorico, ero però curiosa di scoprire come questo funzionasse effettivamente nella pratica!
Guidati dal conduttore ci siamo inizialmente concentrati sul canale artistico della Scrittura
Creativa in particolare la scrittura di Haiku, brevi componimenti poetici di origine
giapponese, composti da tre versi che possono essere tra loro coerenti o anche contenere
elementi in opposizione.
Gli Haiku possono evocare emozioni ma il loro intento non è quello di suscitare o condizionare stati emotivi ma più quello di mostrare ciò che viene visto, tramite la lente del poeta, immerso nella contemplazione dello scenario ambientale.
Per attivare la creatività necessaria all’emersione dei nostri brevi scritti poetici, il
conduttore ci ha accompagnato in un’esperienza immersiva di profondo rilassamento che
prevedeva una camminata consapevole e una respirazione profonda. In questa fase ho
trovato la scelta delle frasi utilizzate dal conduttore estremamente facilitanti il processo di
rilassamento.
Tra queste vorrei ricordare “lasciate stare le vostre preoccupazioni,
mettetele a fianco a voi, ci penserete dopo” e “tutti hanno del nero dentro, anche io ho del
nero”. Pensare di poter riporre a fianco a me le preoccupazioni per riprenderle alla fine e immaginare di non essere la sola in conflitto tra la volontà di abbandono delle tensioni
fisiche e mentali da un lato e la mente cosciente e razionale che si oppone ha decisamente agevolato il mio personale accoglimento di uno stato di calma e pace
interiore.
Successivamente siamo stati invitati a uscire dalla stanza dell’arte e recarci nel giardino dell’Istituto, per realizzare un primo contatto contemplativo e immersivo con
l’ambiente naturale.
Il momento della scrittura è stato per me profondamente immersivo, mi sono lasciata
andare e ho tentato di usare la scrittura quale strumento per esprimermi. Anche il
momento di condivisione degli Haiku si è rivelato per me coinvolgente ed emozionante: il
conduttore ci ha chiesto di muoverci nella stanza e, quando udivamo il suono i cimbali,
ognuno di noi a turno poteva leggere il suo Haiku, seguendo uno stile stop and go. È
sorprendente notare come in questi momenti, seppur in mancanza di un accordo verbale,
la forte connessione tra le persone nella stanza fa sì che ognuna sappia quando è il
proprio turno per parlare.
E poi finalmente è giunto il momento della transizione dal canale della scrittura a un nuovo
canale artistico: le arti del movimento. Gli Haiku si trasformavano ora in una base di parole
per una danza condivisa. Anche qui la scelta del termine “portatori di parole” per riferirsi
agli scrittori mi ha colpito particolarmente in quanto mi ha fatto intendere il passaggio fra le
due forme artistiche come una sorta di collaborazione tra tutte le persone presenti nella
stanza: lo scrittore (e lettore) della poesia che donava le sue parole, i danzatori che gli
davano forma con il movimento, gli spettatori che ne fruivano, il conduttore che guidava
l’esperienza.
Ho avuto l’opportunità e l’onore di danzare insieme ad altri danzatori un Haiku
intensamente espressivo e drammatico avente ad oggetto il tema della guerra e
l’indifferenza del mondo a riguardo. La musica che accompagnava la danza era energica e
ritmata e i miei compagni hanno iniziato a muoversi in modo deciso e risoluto
impersonificando il dolore e la disperazione di chi vive la guerra.
All’inizio io mi sentivo un po’ bloccata, qualsiasi movimento mi sembrava riduttivo per
danzare quelle parole. Ho provato dunque a rappresentare l’impassibilità del mondo
dinnanzi alla guerra camminando intorno ai compagni cercando di essere più
imperturbabile possibile. Dopo poco ho sentito che quel ruolo era forse quello più difficile e
mi sono lasciata cadere anche io a terra, immergendomi nel dolore. Dopo la danza la
portatrice di parole, commossa, ci ha raggiunto e ci siamo stretti in un abbraccio.
Quando sono ritornata in me mi sono accorta dei volti profondamente espressivi degli
spettatori (gli altri del gruppo), mi sono resa conto che forse avevamo appena creato
qualcosa di magico: eravamo stati in grado di condividere ed esprimere intensamente le
emozioni di rabbia, angoscia, paura, indignazione, orrore che tutti noi abbiamo provato a
causa di una guerra lontana da noi eppure così immensamente vicina.
Questa esperienza ha reso possibile l’esplosione del potenziale espressivo artistico del
gruppo al punto che il conduttore ci ha invitati a formare un cerchio tenendoci le mani e
respirando profondamente per riequilibrarci.
A turno abbiamo espresso una parola che
condensasse il nostro stato d’animo e tra queste ne ricordo alcune quali rabbia,
indignazione, sofferenza, dolore, pianto interiore e infine la parola del conduttore
“accettazione e non attaccamento” che ha risuonato nel gruppo. Vivere questa esperienza, indipendentemente dal ruolo assunto, mi ha fatto capire che cosa significa esprimere al
massimo il potenziale artistico espressivo del gruppo.
Dopo una breve pausa di riflessione teorica, ho partecipato poi insieme al gruppo ad una
seconda esperienza pratica di transfer intermodale: l'esperienza prevedeva di camminare
nella stanza, incontrare un compagno e una volta fatto contatto oculare, provare ad
affermare “all’un-due-tre” una parola nello stesso momento e così via fino a che entrambi,
per il criterio della vicinanza dei termini espressi, fossimo riusciti a dire la stessa parola,
man mano che il campo delle possibilità si restringeva sempre maggiormente.
Non credevo fosse possibile; eppure, anche in questo caso la potente connessione ha fatto sì che ogni coppia trovasse la propria stessa parola. In seguito siamo stati invitati a
incorporare la parola trovata, costruendo sempre a coppie una sorta di statua concettuale.
Mentre tutte le coppie stazionavano nella propria forma, il conduttore toccava a turno la
spalla dei partecipanti i quali dovevano dar voce alle loro statue, allo scopo di iniziare a
narrare una storia condivisa, che non poteva ancora avere una trama precisa e condivisa.
La storia creata dal gruppo stava iniziando a parlare di gomitoli di lana, popcorn, scenari
natalizi, tuffi, palle di neve, Superman, burro, fuochi d’artificio e cose del genere.
Il conduttore ci ha chiesto a quel punto di unire le forme da noi create secondo criteri di
vicinanza con quanto da noi espresso e formare lo scenario di un quadro e subito dopo
quale ruolo stessimo giocando nell’insieme che si era creato. Nonostante la bizzarria della
storia e della forma il tutto sembrava avere un senso ossia il creare qualcosa di magico
insieme.
Come ha affermato Chiara, una mia compagna di tirocinio, a proposito della medesima
esperienza, “l’intermodalità così espressa, in un ritmo calzante, ha permesso al mondo
strettamente reale di lasciare il posto all’immaginazione, al flusso libero e alla creatività. Il
gruppo non ha mostrato remore nel lasciarsi andare e spaziare nell’espressione di sé con
tutti gli strumenti disponibili”.
Nel momento di restituzione finale ognuno di noi ha dato un titolo all’esperienza vissuta:
gioia, gratitudine, sorpresa, potenza, evoluzione umana, divertimento al profumo di burro.
Questa esperienza è stata per me una delle più immersive ed intense a livello emotivo. Ho
provato forti suggestioni che andavano dalla rabbia all’immensa gratitudine per avere la
possibilità di sperimentare la forza della connessione umana.
Trovo che il passaggio di una forma artistica ad un'altra sia una modalità potentissima per sprigionare il potenziale creativo ed espressivo di ognuno singolo indivduo, ma ancor più del gruppo nel suo insieme.
Mi sento profondamente grata per aver avuto la possibilità di partecipare a questa esperienza, la quale rimarrà impressa nei miei ricordi.
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