Per comprendere l’importanza della danza nello sviluppo delle terapie espressive basate sul movimento, è utile adottare in primo luogo una prospettiva di tipo storico.
Nelle culture tribali la danza è il modo attraverso cui sacro e profano possono dialogare, ma non solo, la danza diventa il veicolo di integrazione dell’individuo nella comunità di appartenenza, nonché lo strumento principe utilizzato per rafforzare la connessione fra l’uomo e la natura.
Attraverso i riti e rituali, la danza diviene anche il modo di contrassegnare simbolicamente alcuni momenti cruciali e di passaggio appartenenti alla vita delle varie comunità umane come ad esempio il raccolto, l'arrivo della pioggia, l'invocazione della benevolenza divina contro le malattie, il canto e la danza della guerra, l'iniziazione all'età matura, il saluto ai defunti e altre occasioni rituali di analoga valenza.
In accordo con tale visione antropologica, all’inizio del secolo scorso, numerosi artisti, danzatori, coreografi e performer posero l’accento sul profondo significato espressivo e creativo della danza e del movimento, nonché sul ruolo curativo e rigenerativo dei medesimi a beneficio del sistema mente-corpo del praticante.
Per i pionieri di questo nuovo approccio, la danza poteva dunque coniugare in maniera ottimale in un unico percorso, artistico ed esplorativo di sé, due fondamentali necessità della personalità umana, il bisogno di creare e quello di auto-realizzarsi.
Essi esplorarono quanto le connessioni fra il movimento spontaneo e il suo contenuto non manifesto potessero favorire un’autentica espressione del sé, promuovendo gli aspetti creativi, relazionali e simbolici del movimento, più che quelli tecnici o estetici.
E’ il periodo in cui nasce la cosiddetta “modern dance” tra cui riconosciamo Mary Wigman (1886-1973), Isadora Duncan (1878–1927), Martha Graham (1894–1991) e Ruth Saint-Denis (1877–1968) come esponenti di spicco; costoro portarono avanti l’idea del “corpo libero danzante” che poteva esprimere liberamente le emozioni connettendosi ad un senso del movimento rituale e spirituale.
Gli artisti iniziarono quindi ad interessarsi all’uso della performance per smuovere gli animi e le emozioni degli spettatori.
E’ in questo contesto di trasformazione della cosiddetta “danza accademica” che bisogna collocare gli inizi della danzamovimentoterapia; pioniere di tale disciplina furono alcune danzatrici e coreografe che, intorno agli anni ’40, vennero chiamate, all’interno di alcune strutture sanitarie in Usa e Inghilterra, allo scopo di prestare un ausilio terapeutico, attraverso la danza, ai soldati che, di ritorno dal fronte, avevano iniziato ad accusare vari disturbi mentali (psicosi, stress post-traumatico, etc.) a causa degli orrori sperimentati in guerra.
A due di esse in particolare si deve la genesi della danzaterapia: Marian Chace e Trudi Schoop.
Marian Chace (1896-1970) fu una danzatrice e coreografa statunitense ed il suo lavoro terapeutico iniziò dapprima con bambini in difficoltà a comunicare verbalmente, per i quali sviluppò una specifica tecnica danzatoria, basata sul principio che l’azione corporea è correlata a problemi di ordine emozionale.
In seguito, nel 1942, partecipò ad un progetto educativo e riabilitativo per persone affette da disturbi mentali, all'interno dell'ospedale psichiatrico St. Elizabeth di Washington, dove affluivano soldati che tornavano dai campi di battaglia affetti da vari disturbi della personalità.
Marian Chace fondò varie scuole di Danzaterapia e sostenne caldamente lo sviluppo dell’American Dance Therapy Association di cui fu la prima presidente tra il 1966 e il 1968.
Trudi Schoop (1904-1999) fu un’attrice e ballerina comica svizzera.
Singolare fu la sua personale esperienza come danzatrice: a Zurigo Trudi Schoop era in contatto con il dottor Bleuler all’ospedale psichiatrico Burgholzli, (una delle più autorevoli cliniche europee per le malattie mentali) dove spesso veniva da lui chiamata a danzare per i suoi pazienti psichiatrici.
Quando Trudi si trasferì in America alla fine della Seconda Guerra Mondiale, forte dell’esperienza europea, iniziò a lavorare in una clinica psichiatrica, dove attraverso una tecnica unicamente artistica, priva di riferimenti teorici di natura psicologica, elaborò un suo personale modello d’intervento, definito “degli archetipi”, che includeva movimenti quale strisciare, raggomitolarsi, etc.
Inoltre, grazie alla sua esperienza di ballerina comica, attraverso i suoi metodi applicati nelle sedute, la Schoop dimostrò quanto fosse importante portare l'umorismo nella terapia, al momento opportuno.
Un’altra pioniera della danzamovimentoterapia fu Mary Starks Whitehouse, la quale diede vita al Movimento Autentico, una pratica che affonda le sue radici nel metodo dell’Immaginazione Attiva ideato da C.G.Jung e che si sviluppò nei primi anni Sessanta in America dall’incontro fra la DMT e la psicologia del profondo.
Nella sua forma di base il Movimento Autentico consiste nella relazione fra due persone (o due gruppi) che si alternano nel ruolo di chi si muove (mover) e chi osserva, il testimone (witness).
“Imparare a testimoniare se stessi, testimoniare gli altri e condividere attraverso la parola sono momenti successivi nella formazione di chi pratica. Quello che caratterizza lo scambio verbale è la restituzione,attraverso precise regole, dell’esperienza dei due partecipanti nel qui ed ora” .
Dagli insegnamenti della Whitehouse prese il via il filone di ricerca di Joan Chodorow(sotto in foto), analista junghiana e danzamovimento terapeuta.
In particolare la Chodorow portò alla luce il profondo legame del gioco (in altre parole il processo creativo) con il processo di sviluppo psicologico dei bambini.
Chodorow elaborò quindi un programma di lavoro con i bambini che partiva dall'idea dell'importanza dell'arte e della creatività nell'educazione della prima infanzia; secondo questo programma esperienze come il danzare, il pitturare, il modellare la creta ed il mascherarsi erano alcuni dei molti linguaggi attraverso i quali i bambini potevano esprimere e organizzare le proprie esperienze di apprendimento.
In conclusione, la Danzaterapia si presenta dunque come una disciplina lontana da valori tecnici o agonistici o da esigenze estetiche particolari, perché unicamente rivolta alla ricerca del contatto con il benessere, la salute psico-corporea e la consapevolezza di sé, da cui la sua finalità eminentemente e indirettamente terapeutica, che bandisce ogni intento produttivo o prestazionale. Ciò che di bello prende forma nella danza avviene perché il processo creativo è stato stimolato e sostenuto e i partecipanti al rito danzatorio sono stati liberi di essere se stessi.
Articolo di Francesca Roi, editing Nicola Sensale
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