La competenza emotiva
- Nicola Sensale
- 26 feb 2024
- Tempo di lettura: 2 min

Questo termine, coniato nel 1999 dalla psicologa americana Carolyne Saarni,(1945-2015), definisce la capacità di essere efficaci in quelle transazioni sociali (pubbliche, professionali, familiari), che sono in grado di suscitare e promuovere nelle persone alcuni stati emotivi.
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Il concetto di competenza emotiva sostiene che ogni persona è in grado di apprendere modi sempre più sociali di gestire (vivere, esprimere) le proprie emozioni e che la socializzazione emotiva si compie tramite l’interazione sociale con vari agenti culturali (parenti, insegnanti, gruppo di pari, sacerdoti, terapeuti).
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Per la Saarni i fattori che determinano la competenza emotiva sono i seguenti:
La consapevolezza dei nostri stati emotivi interni;
Il saperli identificare correttamente;
Il partecipare empaticamente alle emozioni degli altri;

Il conoscere e condividere (accettare) le regole di esibizione;
Il saper usare il lessico emotivo in uso nel proprio ambiente;
il riconoscimento della distinzione tra emozione provata ed emozione espressa esteriormente;
le strategie di coping o fronteggiamento dell’emozione;
la consapevolezza del ruolo della comunicazione emotiva nelle relazioni;Â
l’auto-efficacia emotiva.
Secondo la psicologa americana a queste competenze emotive, che possono essere definite di base, in quanto supposte alla portata di tutti, se ne possono aggiungere altre, di meno facile acquisizione e che presuppongono un certo livello di maturità ed esperienza:

la capacità di comprendere il comportamento emotivo dell’altro, anche quando è inatteso o contrario alle norme sociali;Â
la consapevolezza della propria capacità di influenzamento e di come regolare pertanto la propria emotività nelle situazioni sociali;Â
la coscienza che l’espressione emotiva varia per grado di spontaneità nei rapporti umani e per grado di reciprocità e simmetria: non tutti difatti esprimono le emozioni con la stessa intensità e spontaneità , non tutte le persone sono dotate della capacità di reciprocità (saper parlare, ma anche saper ascoltare, saper esprimere emozione e non solo desiderare che questo avvenga da parte degli altri, etc.). E infine in taluni contesti come ad es. nelle relazioni genitori-figli, non é sempre presente la consapevolezza che l’asimmetricità di un rapporto sovente blocca l’espressione emotiva;Â
La facoltà di saper giovare a se stessi, attraverso un sano comportamento emotivo: apprendere a gestire lo stress delle emozioni negative con strategie che ne diminuiscano durata e intensità ; accettare se stessi e le proprie esperienze emotive per quello che sono, siano esse particolari ed eccezionali, siano esse prevedibili e comuni.

Il processo di socializzazione emotiva non deve essere eccessivo, pena la denaturalizzazione della qualità dell’esperienza emotiva individuale.
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Benché sia auspicabile che le emozioni, passate al vaglio dell’esperienza culturale non perdano totalmente di espressione autentica e individuale, appare più che evidente, secondo gli studi della Saarni, che sia una scarsa che un’eccessiva socializzazione, oppure una socializzazione perniciosa (tipica ad es. delle famiglie multi-problematiche), possono determinare una bassa competenza emotiva.Â
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Vi sono persone meno competenti emotivamente e persone che lo sono di più.
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I primi a misurare la competenza emotiva furono Salovey e Mayer, a cui si deve la titolarità del concetto di intelligenza emotiva (1990), solo successivamente ripreso da Goleman.
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Secondo questi due autori, esiste una zona ottimale di competenza emotiva, nella quale la prestazione cognitiva è massima.
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Se vi è un eccesso di emotività , oppure una scarsa presenza della medesima, la prestazione cognitiva non potrà mai essere eccellente.Â