Questo termine, coniato nel 1999 dalla psicologa americana Carolyne Saarni,(1945-2015), definisce la capacità di essere efficaci in quelle transazioni sociali (pubbliche, professionali, familiari), che sono in grado di suscitare e promuovere nelle persone alcuni stati emotivi.
Il concetto di competenza emotiva sostiene che ogni persona è in grado di apprendere modi sempre più sociali di gestire (vivere, esprimere) le proprie emozioni e che la socializzazione emotiva si compie tramite l’interazione sociale con vari agenti culturali (parenti, insegnanti, gruppo di pari, sacerdoti, terapeuti).
Per la Saarni i fattori che determinano la competenza emotiva sono i seguenti:
La consapevolezza dei nostri stati emotivi interni;
Il saperli identificare correttamente;
Il partecipare empaticamente alle emozioni degli altri;
Il conoscere e condividere (accettare) le regole di esibizione;
Il saper usare il lessico emotivo in uso nel proprio ambiente;
il riconoscimento della distinzione tra emozione provata ed emozione espressa esteriormente;
le strategie di coping o fronteggiamento dell’emozione;
la consapevolezza del ruolo della comunicazione emotiva nelle relazioni;
l’auto-efficacia emotiva.
Secondo la psicologa americana a queste competenze emotive, che possono essere definite di base, in quanto supposte alla portata di tutti, se ne possono aggiungere altre, di meno facile acquisizione e che presuppongono un certo livello di maturità ed esperienza:
la capacità di comprendere il comportamento emotivo dell’altro, anche quando è inatteso o contrario alle norme sociali;
la consapevolezza della propria capacità di influenzamento e di come regolare pertanto la propria emotività nelle situazioni sociali;
la coscienza che l’espressione emotiva varia per grado di spontaneità nei rapporti umani e per grado di reciprocità e simmetria: non tutti difatti esprimono le emozioni con la stessa intensità e spontaneità, non tutte le persone sono dotate della capacità di reciprocità (saper parlare, ma anche saper ascoltare, saper esprimere emozione e non solo desiderare che questo avvenga da parte degli altri, etc.). E infine in taluni contesti come ad es. nelle relazioni genitori-figli, non é sempre presente la consapevolezza che l’asimmetricità di un rapporto sovente blocca l’espressione emotiva;
La facoltà di saper giovare a se stessi, attraverso un sano comportamento emotivo: apprendere a gestire lo stress delle emozioni negative con strategie che ne diminuiscano durata e intensità; accettare se stessi e le proprie esperienze emotive per quello che sono, siano esse particolari ed eccezionali, siano esse prevedibili e comuni.
Il processo di socializzazione emotiva non deve essere eccessivo, pena la denaturalizzazione della qualità dell’esperienza emotiva individuale.
Benché sia auspicabile che le emozioni, passate al vaglio dell’esperienza culturale non perdano totalmente di espressione autentica e individuale, appare più che evidente, secondo gli studi della Saarni, che sia una scarsa che un’eccessiva socializzazione, oppure una socializzazione perniciosa (tipica ad es. delle famiglie multi-problematiche), possono determinare una bassa competenza emotiva.
Vi sono persone meno competenti emotivamente e persone che lo sono di più.
I primi a misurare la competenza emotiva furono Salovey e Mayer, a cui si deve la titolarità del concetto di intelligenza emotiva (1990), solo successivamente ripreso da Goleman.
Secondo questi due autori, esiste una zona ottimale di competenza emotiva, nella quale la prestazione cognitiva è massima.
Se vi è un eccesso di emotività, oppure una scarsa presenza della medesima, la prestazione cognitiva non potrà mai essere eccellente.
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