Che cos’è la Body Painting?
La Body Painting è un’antica tecnica pittorica che consiste nel dipingere il corpo o alcune sue parti per vari e differenti scopi: ornamentali ed estetici, artistici, curativi e protettivi.
Tradizionalmente è stata dunque utilizzata per scopi rituali (ad esempio per designare il passaggio all’età adulta), oppure in cerimoniali (ad es. matrimoni), ma anche con intenti propiziatori (in caso di guerre o per favorire la caccia e il raccolto) e religiosi (in ossequio alle divinità) oppure protettivi (per difendersi ad esempio dai raggi solari o da alcune punture di insetti). Ancora oggi possiamo ritrovare la tradizione di dipingere e decorare il corpo in alcune tribù indiane e afro-americane in occasione di matrimoni e cerimonie religiose.
In tempi moderni, l’artista Max Factor Sr. (1877-1938) fu il primo a dipingere il corpo nudo di una modella in occasione della Fiera Mondiale di Chicago del 1933. L’apparizione fece molto scandalo, tanto da bloccare la divulgazione in Occidente della tecnica di pittura sul corpo.
Fu solo durante gli anni ’60, con la nascita del movimento hippie, che essa si diffuse tra gli artisti dell’epoca, alla ricerca di un modo non convenzionale e clamoroso di esprimersi, che ben si sposasse con gli ideali e lo stile di vita “libero” e alternativo di tale movimento.
Dagli anni ’60 in poi ci furono vari artisti che usarono la pittura sul corpo per esprimere la loro visione artistica, passando dalla tela alla pittura su modelli di corpi femminili.
Uno dei pionieri di quest’arte fu senz'altro l’artista francese Yves Klein (1938-1962).
Al giorno d’oggi la body painting viene impiegata in numerosi frangenti, ad esempio nel marketing commerciale, in ambito sportivo o in alcune proteste politiche (specie quelle che si oppongono alla crudeltà verso gli animali).
In arteterapia questa tecnica diviene strumento per realizzare una mediazione tra il corpo, il sé della persona e il mondo esterno, oppure per facilitare l’espressione dell’interiorità o per promuovere la creatività.
E’ proprio per questa sua prerogativa di favorire la creatività e l’espressione di emozioni e sentimenti o per facilitare esperienze sensoriali, di esplorazione sensomotoria, di contatto fra il sé e il proprio corpo, che la pittura sul corpo diventa uno strumento di estrema importanza che può essere utilizzato nei laboratori artistici sia con gli adulti sia con i bambini di varie fasce d’età.
La body painting può anche essere impiegata a scopo riparativo ovvero per migliorare una relazione con il corpo che è danneggiata, per sostenere e valorizzarne parti che hanno bisogno di cura e di attenzione o che non ci piacciono, oppure per risanare ferite interiori che al corpo sono riconducibili.
A tal fine negli Usa questa tecnica è stata utilizzata in alcuni progetti di empowerment per donne affette da cancro al seno che hanno avuto la possibilità di vedersi “trasformate” allo scopo di meglio accettare ferite e/o cicatrici legate alla malattia.
In questo ultimo caso in particolare, ma non solo in questo, in generale, quando la body painting è realizzata su tutto il corpo, non può essere eseguita da soli ma è necessario affidarsi a un’altra persona che svolgerà il ruolo di pittore.
In questo caso l’artista-pittore immerso nel suo processo creativo ed entrando in un contatto intimo e sacro con il corpo da dipingere, avrà l’opportunità di creare un’immagine sul modello-tela, producendo una sua arte, con significati propri, nella forma di un emergente artistico di cui potrà beneficiare direttamente.
Al contempo egli parteciperà al processo di guarigione del sé dell’altro, il modello-tela, il quale potrà a sua volta vivere un’esperienza di cura che si declina sui sensi, la vicinanza e il contatto con il corpo del pittore.
Infine egli potrà rivedersi in ciò che emergerà dal suo corpo (usato come supporto artistico), nella forma di un’opera d’arte e potrà ricavarne un messaggio e leggerne significati utili al suo processo di trasformazione.
Si tratta quindi dell’esperienza di due storie, due personalità che, cooperando, si integrano e si aiutano a trasformarsi reciprocamente.
E qui inizia il mio racconto...
...ricordo bene quel giorno…non sapevo proprio cosa aspettarmi e cosa sarebbe accaduto. Ricordo bene quel giorno…ora lo custodisco con cura nel cuore...
Mi chiamo Roberta e sono una studentessa giunta quasi al termine del percorso di formazione in Arti Terapie Espressive. Poco prima del weekend di formazione mensile, la Scuola, come di consueto, ci aveva informato che nella successiva unità didattica avremmo “maneggiato” la pittura sul corpo.
“Che meraviglia!”, ricordo di aver commentato.
La proposta mi aveva subito entusiasmata: io amo dipingere, colorare e “sporcarmi” le mani con le tempere, usare e sperimentare i diversi materiali artistici! Sarebbe stata un’esperienza nuova! Una prima volta!
E così, quel giorno sono andata a Scuola con spirito curioso, desiderosa di scoprire cosa ne sarebbe stata di quella giornata che tanto profumava di COLORE.
L’unica richiesta che la Scuola ci aveva fatto, era stata quella di indossare un costume da bagno e/o dei pantaloncini, qualora avessimo voluto esporre più parti del corpo ed essere a nostro agio nel farlo.
Così feci. Dopo una prima parte teorica relativa all’attività che da lì a poco avremmo sperimentato, l’insegnante, l’arteterapeuta della Scuola, Mirella Errico, ci ha mostrato i colori e i materiali specifici che si utilizzano per dipingere il corpo.
Il passo successivo è stato quello di provare i materiali, i colori a base d’acqua e le relative spugnette, su noi stessi.
Ciascuno ha quindi scelto una parte del corpo e ha iniziato a esplorare, a sperimentare, a vivere la sensazione che si prova nello spargere del colore sulla pelle.
Io avevo deciso di dipingere il piede e una parte di gamba.
Ricordo di essere rimasta colpita dal contrasto tra ciò che vedevo e ciò che sentivo: il colore copriva perfettamente la superficie del corpo, ma non sentivo differenze al tatto.
Toccavo la mia pelle colorata (ho provato anche con gli occhi chiusi!) e non sentivo differenze sensoriali con le altre parti del corpo.
E questa caratteristica, inaspettata, mi incuriosiva ancora di più. Il primo approccio a questa attività è stato molto piacevole, ha permesso di farmi avvicinare gradualmente a ciò che sarebbe avvenuto successivamente!
Dopo una fase di riscaldamento (come prevede il metodo Artes) utilizzando il corpo, la musica e foulards di colori diversi come oggetti mediatori, siamo entrati nel vivo dell’esperienza durante il processo creativo.
Abbiamo formato liberamente delle coppie a seconda del ruolo di tela o pittore che avremmo assunto nell’attività.
Io ho svolto il ruolo di tela e dopo un'importante fase verbale necessaria a costituire una connessione e stabilire reciproca alleanza, mi sono distesa a terra su un tappetino e ho lasciato alla mia compagna, nel ruolo di pittrice, libertà piena nell’esprimersi creativamente sul mio corpo.
Mi sono affidata completamente, senza fornire indicazioni particolari o specifici suggerimenti decorativi.
Avrei potuto chiederle cosa preferivo vedere dipinto sul mio corpo, ma al contrario, ho voluto rimanere fiduciosa comunicandole che qualsiasi immagine fosse “arrivata” avrebbe avuto un senso per me, senso che ero disposta ad accogliere.
Mi sono dunque affidata al sorprendente potere di lungimiranza del processo creativo.
Fin dall’inizio ho sperimentato un senso di cura, grazie al tatto e alla delicatezza che la mia compagna–pittrice ha messo in pratica nell’avvicinarsi gradualmente al mio corpo.
Mi sono sentita “in buone mani”, non ho mai provato sensazioni di fastidio o comunque negative, a tal punto da decidere, di comune accordo con la pittrice, di togliermi la parte superiore del costume.
Questo ha donato a entrambe, come abbiamo constatato condividendolo successivamente, una sensazione di libertà, di apertura, di possibilità.
Ero molto curiosa di vedere ciò che la pittrice stava realizzando sul mio corpo ma ho deciso di guardarmi allo specchio soltanto a lavoro finito: sono rimasta per la maggior parte del tempo ad occhi chiusi, quindi non ho visto nulla se non al termine. Non mi sono neanche accorta dei colori che lei stava scegliendo.
Mentalmente mi facevo delle idee su che cosa sarebbe apparso… idee che sono state poi tutte disconfermate da ciò che ho potuto vedere allo specchio!
Rimirarmi al suo interno è stata un’emozione fortissima, inaspettata.
Il mio corpo era dipinto in ogni sua parte ed ho provato una sensazione di gioia, di bellezza, di stupore e di meraviglia nel vedermi così raffigurata.
Mi sono sentita valorizzata. Ho apprezzato il mio corpo, che onoro ad intermittenza, con il quale non ho mai avuto un buon rapporto.
Mi sono sentita vista nell’intimo: la mia compagna aveva colto ed espresso qualcosa che le apparteneva, come da lei stessa condiviso successivamente, ma allo stesso tempo qualcosa di intimo, un mio desiderio, qualcosa che apparteneva anche a me.
L’opera che è scaturita dal processo creativo, l’emergente artistico, nella sua bellezza estetica e nel messaggio che conteneva per me, è stata travolgente.
Mi è sembrato di potervi “entrare dentro”. Più di tutto mi hanno colpito due aspetti dell’opera: il colore prevalente utilizzato sul mio corpo (l’azzurro, uno dei colori che preferisco) e l’immagine raffigurata sull’addome.
In questa parte è raffigurato un tendone, un sipario che si apre su di un terreno fertile da cui nasce un albero di luce con rondini che volano nel cielo azzurro, che si innalza fin sopra al petto. Questa parte dell’opera è quella che racchiude il messaggio che mi ha subito catturato facendomi emozionare, da cui è emerso il titolo dell’opera: APRIRSI ALLA VITA.
Infine, l’ultima parte dell’attività è stata la creazione da parte di ogni coppia tela-pittore, di uno sfondo (landscape) in cui integrare l’opera realizzata.
Per intenderci, in questa fase del protocollo artistico, Il modello viene inserito in una situazione paesaggistica ben definita e correlata all’immagine emersa. Pittore e modello lavorano insieme alla costruzione di questo sfondo.
L’inserimento nel paesaggio ha la stessa funzione della definizione “dove” (ambiente) nel teatro. Il modello vive una narrazione vivente all’interno di quel paesaggio, diventandone un elemento, probabilmente se ne sentirà il protagonista.
Nella sua mente ormai decentrata scriverà una storia, la storia che desidera conoscere e che fa bene al suo corpo da guarire.
Io e la mia compagna-pittrice abbiamo scelto di ricreare, in grande formato, su cartellone, il tendone (simile a quello raffigurato sul mio addome), aperto su di un albero azzurro con fiori gialli e rondini libere in cielo, così da posizionare l’opera all’interno di questo sipario in corrispondenza dell’albero, simbolo di vita.
Per me è stata un’esperienza molto impattante, profonda, ricca e risanatrice, tramite la quale ho potuto prendermi cura di una parte vulnerabile di me.
Questo è potuto accadere grazie alla gradualità con cui siamo entrati nel processo creativo e a tutto il lavoro e il riscaldamento eseguito in precedenza, ma è avvenuto anche grazie alla sensibilità e alla mediazione dell’arteterapeuta Mirella.
Ma soprattutto grazie alla profonda connessione che si è creata con la mia compagna-pittrice: la sua mano ha scritto la mia storia che, integrandosi alla sua, ne ha prodotta una terza dal titolo APRIRSI ALLA VITA: un messaggio-dono per entrambe.
Custodisco nel cuore quella giornata, grata di aver perso parte a questa profonda esperienza di cura e trasformazione.
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