Privacy Policy
top of page
Immagine del redattoreMarzia Righetti

LIBERARTE: CRONACHE ARTISTICHE DA UN LUOGO DI DETENZIONE


Tutto è iniziato con una domanda rivolta a me stessa: “Che cosa sono per me le Arti Terapie Espressive? Quale è stato ed è tutt’ora  il loro potenziale nella mia esperienza di vita, oltre che formativa?” 

 

E’ stato tramite le risposte che ho dato a me stessa, che è nato il nome del progetto che ho svolto durante un tirocinio di gruppo quale arteterapeuta espressiva in formazione presso la Scuola dell’Istituto RES: LiberArte.

 

Le Arti Terapie Espressive favoriscono nuove prospettive di vita, nuove possibilità, (s)punti di vista differenti e attivazioni di risorse inaspettate, in qualunque contesto ci si trovi… Questa è la mia esperienza!

 

In poche parole, sono un grande Strumento per la Libertà.

 

Grazie al potenziale creativo che le caratterizza esse liberano da vecchi schemi, da modi di vedere ed agire cristallizzati, ruoli indossati, incontri stereotipati con sé e con l’altro, permettendo ad ognuno  di manifestare la propria unicità.

 

Se c’è un luogo dove la Libertà è evidentemente assente in molte sue espressioni questo è il carcere. Quale luogo migliore per un tirocinio di Arti Terapie Espressive? 

 

In particolare ho proposto un progetto alla casa circondariale di Vercelli, presso la quale avevo già svolto in passato attività artistiche come volontaria. 


L'intervento era così strutturato: sei laboratori artistico-espressivi di due ore cadauno rivolti ad un gruppo di uomini (dai quattro agli otto partecipanti) la cui adesione è stata su base volontaria

 

Il luogo in cui le attività si sono svolte era costituito da una stanza polifunzionale di circa 20 m2 con diverse pareti occupate da materiale che non si poteva spostare, quindi in una configurazione (set) non modificabile. 

 

Lo spazio da destinare al laboratorio risultava quindi abbastanza limitato e Il lavoro creativo doveva per forza di cose svolgersi su grossi tavoli, impedendo eventuali attività al suolo o comunque implicanti il movimento. 

 

Così anche i momenti di verbalizzazione in cerchio, anziché svolgersi al suolo, sono stati effettuati  su sedie, limitando l’attivazione della sensorialità e corporalità. 

 

L’idea del lavoro da svolgere e dei temi da approfondire è maturata incontro dopo incontro, come conseguenza naturale del procedere degli avvenimenti emersi e con un  filo conduttore da me mantenuto quale arteterapeuta in formazione. 

 

Ciò che è emerso  come fil rouge del percorso è stato un orientamento a lavorare sul rafforzamento del sé.

 

Di seguito mi propongo di dare un’idea delle tappe fondamentali, e di collegarle al senso di “libertà” a cui ho precedentemente accennato, contestualizzandole al luogo di detenzione.

 

Una prima fase è stata dedicata alla creazione di un setting relazionale favorevole agli incontri basati su un clima intersoggettivo

 

Tale clima permette di  incontrarsi come portatori di soggettività rispettabile tanto quanto quella degli altri  partecipanti, con l’intento di limitare al massimo eventuali accenni di contrapposizione e favorire la cooperazione e la disponibilità ad aprirsi gli uni agli altri. 

 

Acquisita sufficientemente questa condizione, il percorso ha seguito un andamento orientato sui seguenti temi principali:

 

  1. la presentazione di sé 

  2. i confini entro i quali muoversi e il passaggio dall’Io al Noi

  3. le impronte come segno distintivo di ogni individuo e una possibilità per una loro trasformazione

  4. riflessione di chiusura


La presentazione di sé  

La presentazione di sé è avvenuta gradualmente, offrendo ai partecipanti materiali e proposte che permettessero loro di sperimentare a discrezione quanto ampliare i confini della propria esperienza. 

 

Questo passaggio è avvenuto sia attraverso un’offerta di differenti materiali nel corso degli incontri (da colori più controllabili e duri come i pennarelli, ad altri più morbidi e pastosi come le tempere  a dita), sia con la proposta di attività con vincoli tecnici differenti (a titolo di esempio il fornire dei fogli da utilizzare esattamente nel modo in cui erano stati consegnati dal conduttore come base per l’espressione creativa, piuttosto che lasciare che fossero i partecipanti stessi  a sceglierne dimensione, colore, forma).

 

Come primo lavoro sull’identità è stato loro chiesto di rappresentare il proprio nome utilizzando materiali duri (pennarelli e matite) e alcune lettere prestampate.  Oltre alla possibilità sopra indicata, la scelta tra lettere con forma e dimensione già definite, la proposta prevedeva anche, per chi lo avesse voluto, di creare da solo le proprie lettere andando così a definire con maggiore soggettività le loro caratteristiche.

 

La mia intenzione era di proporre un’attività semplice in un contesto che permettesse una sicurezza espressiva su di un terreno considerato artisticamente facile, senza attivare la ricerca di risultato particolare e senza pressioni estetiche.

 

Ciò che contava era il processo, il fare, fare con gli altri, fare in Libertà

 

Ha fatto seguito un incontro dedicato alla tecnica del portrait: si trattava di applicarsi nella creazione di cartoline che rappresentassero qualcosa di sé (eventi della vita dei partecipanti, emozioni, etc. e di proposito non sono state fornite indicazioni specifiche), come se fossero fotografie, istantanee di diversi momenti della loro esistenza, scelti tra i più rappresentativi. 

 

La LiberArte qui si è concretizzata nella leggerezza del clima, nel dedicarsi ad attività dimenticate (come il ritagliare) e i conseguenti ricordi, con l’evasione (termine spesso utilizzato in questo percorso) in luoghi e tempi vissuti:

 

-“Quando facevo spettacoli da cabarettista indossavo sempre delle scarpe rosse

 

 

-“Un tempo facevo commercio di scarpe da donna

 

 

-“Quando ero libero andavo a pescare, non vedo l’ora di poterci tornare con mio figlio”


Oppure nell’emersione di desideri che ci si auspica di vivere così come di ricordi che fanno stare bene:

 

IL DESIDERIO/RICORDO DI VEDERE CIELO E NUVOLE

 

-“Mi fa stare bene vedere il mio nome su un foglio azzurro, non so perché l’ho scelto, ma poi, guardandolo mi ha ricordato il cielo e ho così aggiunto delle nuvole”.

 

I confini entro i quali muoversi e il passaggio dall’Io al Noi

La proposta di creare dei mandala a partire da mascherine preimpostate ha favorito sia una buona concentrazione e rilassamento sia la definizione di uno spazio ben delineato entro il quale creare. 

 

Dal sanscrito, Mandala significa “cerchio” o “completamento”.  

 

Risale a una cultura millenaria e trasversale alle varie culture e consiste in una rappresentazione del mondo, del cosmo oltre che del proprio mondo personale. 

 

Il Mandala è caratterizzato da una struttura geometrica sulla quale esso stesso viene creato. 

 

Solitamente, ma non sempre, per la costruzione si parte dal centro, allargandosi con cerchi concentrici via via verso l’esterno.

 

Le sue applicazioni nelle Arti Terapie Espressive sono molteplici. 

 

In questo incontro è stato proposto per favorire stati di calma e benessere interiore, ma anche come strumento attraverso il quale stimolare l’espressione di sé dei partecipanti, all’interno di confini ben definiti, quelli appunto circolari del mandala stesso. 

 

I partecipanti sono stati invitati a creare il proprio Mandala partendo da alcune mascherine con all’interno delle  forme pre-stabilite, come si evince dalla seguente foto.

 

In questo modo la struttura di base è risultata bene definita, creando un senso di contenimento e di facilitazione tecnica. 

 

Questa fase vincolata era bilanciata dalla libertà di scegliere tra le tante mascherine offerte che sarebbero state la struttura portante del proprio mandala. 


Dopo aver collocato su di un tavolo  i mandala da loro stessi creati, i partecipanti hanno iniziato spontaneamente a spostarli con il fine di andare alla ricerca di un quadro complessivo armonico

 

Questo processo ha portato ad una disposizione spaziale dei Mandala che ha raccolto il benestare di tutti i partecipanti.

 

La LiberArte si è manifestata anche nel passaggio dal personale al collettivo e nella scoperta di una differente possibile relazione con sé e con gli altri e di nuovi spazi entro i quali muoversi nel rispetto di tutti gli individui.

 

Significativi i titoli dati dai partecipanti al quadro composto con i mandala:  “Staccarsi  dal proprio”“La cooperazione del gruppo unito”La vittoria del gruppo”.

 

Le impronte come segno distintivo di ogni individuo e una possibilità per una loro trasformazione.

Proseguendo il filo conduttore del rafforzamento del sé, una tappa significativa dell’esperienza del gruppo è stata quella relativa all’attività denominata Impronte come segno distintivo di sé.

 

Questo tema si presterebbe a molti altri sviluppi considerando, tra l’altro, che i detenuti hanno lasciato le loro impronte all’entrata in carcere. 

 

In questa esperienza il focus è stato diretto sia sull’esperienza sensoriale collegata all’utilizzo dei colori a dita, sia sulla trasformazione delle impronte. 

 

L’aspetto sensoriale ha favorito un tempo di cura di sé  oltre che  la possibilità di sporcarci le mani come non avevamo mai fatto”, come è stato riferito dai partecipanti stessi.

 

Trovo interessante questa espressione da loro usata. Porta a riflettere sul fatto che, normalmente, chi si trova in carcere “si è sporcato le mani” in contesti e con modalità differenti,   per le quali si trova adesso in stato detentivo. 

 

Anche seguendo questa suggestione/riflessione, come per le impronte di cui ho scritto poco sopra, si potrebbero considerare ulteriori sviluppi per nuovi processi arte-terapeutici (i colori dello sporcarsi le mani fuori e dentro al carcere, immagini ed elaborati artistici che emergono, la narrazione creativa delle mani prima, durante e dopo la detenzione…).


Oltre che in questi aspetti, la LiberArte si è resa ancora una volta evidente nell’attività di trasformazione delle impronte.

 

Il processo creativo prevedeva infatti due fasi di svolgimento: dopo una prima esplorazione sensoriale del colore e la creazione casuale di impronte con le mani su dei fogli, ai partecipanti è stato richiesto di osservare i segni lasciati, di cogliere dettagli ed elementi che potessero essere ampliati e poi trasformati. 

 

Gli emergenti artistici sono diventati portatori di messaggi:

 

“Questa lumaca mi dice che con il tempo tutto si risolve, ci vuole lentezza”

 

“Ho scelto di usare solo i polpastrelli e ho creato un pagliaccio.”

 

e di creazione di nuove forme di immaginazione

 

“Le impronte di quando arriviamo in carcere sono grigie, quelle di oggi sono colorate e trasformate”. 

 

Ciò è stato inoltre maggiormente evidente nella sorpresa al momento dell’unione, su di un unico supporto cartaceo, delle impronte di tutti i partecipanti, impronte che, con naturalezza, si sono mescolate trovando ognuna il proprio spazio, facendo oltretutto emergere il momento attuale nelle loro relazioni intergruppali: le diversità individuali che si sono evidenziate tra loro e l’unione allo stesso tempo.


Riflessione di chiusura

Questo sesto e conclusivo incontro è stato dedicato al creare una riflessione di chiusura sull’intero percorso mediante l’impiego del canale arti plastico-pittoriche.

 

Alcune espressioni conclusive fornite dai partecipanti sono state condivise da tutti e, a mio avviso, alcune davvero significative come ad esempio, quelle relative all’aver incontrato degli Uomini

 

Ecco alcuni dei concetti chiave da loro riportati: collaborazione, colori, nuove scoperte, divertimento, creatività, colori, evasione, libertà, rilassamento, Noi…



Sono inoltre stati sottolineati dal gruppo i momenti di rilassamento, svago, evasione e tranquillità, ma anche esperienze quali  l’incontro di sé e degli altri in un modo nuovo e ancora l’aver esplorato nuovi confini e il cimentarsi, con successo, in qualcosa che alcuni di loro non credevano di saper fare: sentirsi accolti ed essere accoglienti.

 

 

Desidero concludere questa riflessione, mostrando qui in alto un’immagine creata da uno dei partecipanti. 

 

Questo emergente artistico, a mio avviso, chiude un percorso e apre a domande e a ulteriori riflessioni.  

 

Tra le più rilevanti, sottolineo l’importanza della continuità di un percorso di questo tipo, allo scopo di nutrire quanto sperimentato e far sì che il sorriso apparso sul volto e la finestra che si è aperta tra le sbarre, come qui raffigurato, possano non richiudersi e, anzi, aumentare la loro espansione nel rientro in cella e nell’ordinarietà detentiva.

 

 

 Tutte le immagini provengono delle esperienze laboratoriali creative qui citate. 

 

0 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comentários


bottom of page