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Immagine del redattoreFrancesca Roi

NON STRAFARE DA: “LA SAGGEZZA DELL’IMPERFEZIONE”


Patricia Ryan Madson

Se dovessi re-intitolare questo breve capitolo del libro “La saggezza dell’improvvisazione” di Patricia Ryan Madson, sceglierei la frase "l'originale sei tu”

 

Il capitoletto è infatti una carrellata di storie di persone comuni che hanno fatto della non-perfezione la loro strategia di vita. 

 

Si racconta di Gene DeSmidt, per esempio, abile e scrupoloso artigiano costruttore del nord della California, che usava il motto “abbastanza vicino alla perfezione” per descrivere la sua casa, fatta con notevole maestria. 

 

Oppure viene riportato l’esempio di Samuel, analista finanziario, lavoratore instancabile e ossessivo, che ottiene finalmente buoni  risultati sul lavoro quando inizia ad applicare il semplice postulato dello “stare nella media”. 

 

Si prosegue con Trey Junkey, centrale dei New York Giants, che nello spareggio della finale di campionato del 2003, tenta un passaggio all’indietro “perfetto” che diventa però imprendibile dal suo compagno di squadra. 

 

“Se avessi fatto un tiro normale, forse avremmo vinto il campionato”, ammise Trey a un giornale. 

 

Infine Aaron, uno sviluppatore di software, ricerca l’ovvio e il normale nel progettare interfacce per i suoi prodotti e capisce di essere sulla strada giusta quando alle riunioni i suoi colleghi esclamano “Come mai non ci abbiamo pensato prima??!”. 

 

L’ovvio può risultare sorprendente per qualcuno. 

 

La nonna paterna dell’autrice del testo, infine, con le sue frasi ovvie e scontate, di una sprizzante normalità, scatena risate e genera stupore intorno a sé, come quando afferma, osservando i necrologi, che “La gente che muore oggi non è mai morta prima!”.


La spontaneità diventa genialità. 

 

Questi brevi e semplici esempi rendono chiaro e tangibile al lettore quello che l’autrice vuole sostenere, ovvero che se ci si impegna troppo il risultato è spesso deludente. 

 

Meglio abbassare l’asticella, non “sforzarsi” di essere migliore a tutti i costi oppure più creativo, perché la pressione genera ansia e l’ansia non è una buona compagna di viaggio. 

 

Rinunciare all’idea di perfezione dunque è il primo passo. Il secondo è smettere di cercare di inventare qualcosa di originale a ogni costo. Ognuno di noi vede il mondo in modo diverso e dobbiamo semplicemente credere che la nostra visione del mondo abbia una sua importanza. La ricerca della stravaganza, della trasgressione forzata, dell’originalità a tutti i costi porta a quello che l’autrice definisce come “l’inganno della sirena fritta”. 

 

In una scena di improvvisazione teatrale, racconta Madson, un suggerimento di questo tipo da parte del pubblico, scatena l’ilarità e la risata immediata. 

 

L’accostamento bizzarro del nome e dell’aggettivo è in effetti comico ma poi? Si può davvero costruire una scena comica che vada avanti e che abbia come protagonista una sirena fritta? 

 

Dopo l’immediato effetto comico iniziale, che però dura il tempo di una risata, la scena si esaurisce e il divertimento si conclude. 

 

Partendo invece da una situazione ordinaria si può costruire una scena genuinamente divertente. La realtà supera di gran lunga la fantasia, diceva Pirandello, che del teatrino della vita era grande esperto.


“Essa non si preoccupa di essere verosimile semplicemente perché è vera”. 

 

Le frasi finali, contenute nell’ultima pagina di questo breve capitolo, efficaci e illuminanti, mi sembra calzino alla perfezione per il percorso di Arti Terapie Espressive che stiamo compiendo come studenti e che in verità è un viaggio di scoperta personale, in cui ci si ritrova spesso faccia a faccia con i propri schemi d’azione e con i limiti che ci auto-imponiamo. 

 

Queste due frasi hanno a che fare con l’atteggiamento prestazionale che tutti possediamo, con quella “ossessiva” voglia di fare bene, di fare al meglio, di fare al m a s s i m o , di essere al top ,sorprendentemente originali, creativi, insomma “splendenti”. 

 

Esse invitano invece alla normalità, alla stupidità (mi piace qui utilizzare la prima accezione del verbo latino stupère, che scopro significare “condizione di passività indotta da stupore”), all’accontentarsi di quel che “si riesce” a fare, dimenticandosi il “si deve”, per allontanare da noi l’ansia che inevitabilmente ci pervade quando ci poniamo obiettivi troppo elevati.

 

Sentenze che ci fanno riflettere sul fatto che non è necessario essere originali per fare bene. 

 

Mi ricollega a una frase che usiamo molto spesso nel Corso, ovvero il “fare con quel che si ha a disposizione”, senza cercare di essere “speciali” a tutti i costi. 

 

Il confronto con gli altri, con il gruppo, è fondamentale nella crescita personale. 

 

Io posso essere d’aiuto agli altri. Gli altri, con il loro mondo, con le loro personalissime visioni del mondo, possono esserlo per me.


Quando giochiamo con il teatro, e ci addentriamo nell’improvvisazione, uno degli errori in cui, come i formatori ci fanno osservare, cadiamo più frequentemente, è quello di cercare di strafare, di esagerare per ottenere una risata in più, un applauso, un cenno di consenso da parte del pubblico. 

 

Perdiamo di vista che è con la struttura della storia che dobbiamo interagire e non con il pubblico come se fosse un giudice da sedurre affinché ci risparmi le sue critiche. 

 

Ci è stato insegnato che il pubblico è un nostro compagno di gioco, lì per dare sostegno ai nostri sforzi creativi. 

 

Quello che spesso ci viene invece detto è di stare nell’ordinario, di “accettare l’offerta” di chi è in scena con noi, senza sovrastarlo o coprirlo, per inventare storie non folli, ma plausibili, dotate di una logica e di una coerenza interna, facendo bene attenzione a non alzare inutilmente la posta, “cercando il pitone, sotto i cuscini del divano di casa”.


Tutti questi efficaci accorgimenti “di semplicità” che ci sforziamo di applicare quando siamo immersi nel processo creativo (sia esso artistico, teatrale, musicale narrativo, corporeo), andrebbero utilizzate anche nella vita di tutti i giorni, che null’altro è se non un macro processo creativo, all’interno della quale veniamo a contatto con problemi che dobbiamo risolvere e con persone con le quali dobbiamo interfacciarci e interagire. 

 

E dobbiamo farlo cercando di utilizzare la nostra creatività nel modo più semplice e lineare possibile, senza strafare, senza eccedere, senza porci obiettivi impossibili che ci procurano ansia. 

 

Essere creativi ed essere perfetti, sono come treni che viaggiano su due diversi binari, che non si incroceranno mai. Questo credo sia uno degli scopi delle Arti Terapie: giocare a mettere in scena la vita tramite l’arte, per capire come trarre godimento da essa, senza strafare.


Le parole di Madson sono dunque un invito a un atteggiamento misurato e intelligente, frutto di una presa di coscienza delle proprie peculiarità e capacità uniche

 

L’unicità propria di ciascun individuo è essa stessa stra-ordinaria e irripetibile, e dunque fonte di stupore e sorpresa per gli altri. 

 

Farsi forza della propria unicità, riconoscere e accettare i propri pregi e i propri difetti, è un grande segno di crescita personale. 

 

“Homo sum”, diceva il commediografo l a t i n o T e r e n z i o , n e l l ’ Heautontimorumenos, “ humani nihil a me alienum puto”. (“Sono un essere umano, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me”). 

 

Questa massima racchiude e raccoglie perfettamente, a mio avviso, il significato di questo breve capitolo. Siamo esseri umani, e le nostre caratteristiche ci rendono già speciali, unici, originali.

 

Non occorre altro.

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